“Meno partenze, meno vittime in mare”. È questo l’assunto imperante quando si parla di immigrazione irregolare dalle coste nordafricane. Ed è sempre triste ragionare di morti solo sulla base di cifre. Nei primi 20 giorni dell’anno – dati Oim e Unhcr aggiornati con le cifre delle ultime ore – abbiamo avuto 2706 sbarchi e 184 vittime: il 6,7 per cento dei migranti in viaggio è annegato. E allora: è vero o falso che a un minor numero di partenze corrisponde un minor numero di vittime? È necessario fare una premessa. È quasi impossibile spiegare un fenomeno complesso come l’immigrazione irregolare utilizzando soltanto le cifre. Il numero dei morti in mare è soltanto un indice del fenomeno. Andrebbero calcolate anche le vittime del passaggio fino alla costa libica. Cifre impossibili da ottenere. Si può partire dai dati dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) degli sbarchi sulle coste europee e dei morti durante la traversata. Tenendo presente però che anche questo elemento – poiché non conosciamo il numero esatto di quanti s’imbarcano – è parziale e approssimativo.
Nel 2016, quando non esisteva il codice di condotta per le Ong e le loro imbarcazioni ancora sorvegliavano il Mediterraneo e la Libia non era autorizzata a coordinare i soccorsi, si contavano 362.753 sbarchi sulle coste europee. Il numero dei morti in mare era di 5.096 persone. Nel 2017 – ad agosto parte l’operazione Minniti – il bilancio è di 3.139 vittime su 172.301 persone sbarcate. I morti in mare sono quindi 1.957 in meno. Lo scorso anno i migranti sbarcati scendono ulteriormente – sono 138.882 – e cala ulteriormente il numero delle vittime: 2.275. Meno della metà rispetto al 2016. Se guardiamo il fenomeno in termini percentuali, però, la probabilità di morire in mare è invece aumentata. Nel 2016 è dell’1,4 per cento, nel 2016 del 1,8, nel 2018 dell’1,6. In altre parole diminuiscono i morti ma cresce la possibilità di morire. Nei primi 20 giorni del 2019 la media è schizzata dall’1,6 al 6,7 per cento.