Appena entrati nell’area dello Scalo ferroviario merci di Orbassano, una coppia di aironi cinerini, disturbati dal raro visitatore, prende elegantemente il volo. Non sono abituati a visite, gli aironi, né a un gran traffico di treni. L’area è un’immensa, desolata landa coperta di sterpaglie che si mangiano ogni giorno di più i binari arrugginiti. Eppure il Terminale di Orbassano dovrebbe essere il cuore pulsante del futuro Tav, la porta d’accesso della linea ad alta capacità che dovrebbe sparare tonnellate di merci dentro il (futuro) supertunnel della Val di Susa, per collegare a frizzante velocità Torino e Lione.
Oggi è una Fortezza Bastiani assediata da placidi aironi e allarmate salamandre. I pochi superstiti umani (erano un migliaio i dipendenti dieci anni fa, oggi sono circa duecento) aspettano perplessi che arrivi la grande piena del Tav.
Lo scalo merci di Orbassano è la grande area alla periferia di Torino – 1,660 milioni di metri quadrati – che fu ideata negli anni Settanta per gestire il traffico merci da e per la Francia. Crebbe per qualche anno, ma quando fu completato, lo Scalo era già vecchio: il trasporto merci stava cambiando, moriva il trasporto “diffuso”, che componeva treni caricando merci diverse per diverse destinazioni, e cominciava ad affermarsi il trasporto di container ad unica destinazione. Tramontava il trasporto di merci come carbone, lamiere, cereali. Diminuivano anche le auto in partenza dalle fabbriche Fiat. Cominciò a deperire anche il Terminale di Orbassano, oggi malato terminale.
Per vistarlo, disturbando aironi e salamandre, si può entrare da un punto qualunque dell’infinito perimetro non presidiato. Se si entra da Strada del Portone, subito sulla destra si vede la sagoma del Ferrhotel, che un tempo ospitava i ferrovieri. Oggi è abbandonato e la grande area attorno viene richiesta da quei buontemponi che si mettono in divisa, si armano e giocano alla guerra. Non troppo distante, ecco il deposito locomotori, che un tempo era il cuore del terminal. Oggi è vuoto, come il capannone delle Omv, le Officine manutenzione veicoli, inattivo e abbandonato. Desolata anche la mensa ferrovieri. Restano attivi alcuni uffici del grande Fum, il Fabbricato uffici movimento.
I binari arrivano da Porta Susa, provengono dalle linee che vanno da una parte verso Torino, dall’altra verso Modane e la Francia. Qui si aprono a ventaglio, raddoppiano, si triplicano, si quadruplicano, si moltiplicano, diventano decine e poi più di un centinaio. C’è il “fascio container”, il “fascio dogana”, il “fascio direzioni”, il “fascio centrale-partenze sud”, il “fascio presa e consegna”, il “fascio officina manutenzione veicoli”. Poi i fasci di binari di nuovo si assottigliano, per moltiplicarsi ancora nel “fascio arrivi” e, in fondo, nel “fascio deposito locomotive”.
Ma molti binari sono smantellati e divelti, gli altri arrugginiti. La “parigina” di binari in cui un tempo venivano lanciati i vagoni e composti i treni merci ora è abbandonata. I segnali che una volta accendevano le loro luci rosse e verdi dando il via libera o lo stop ai treni ora sono come orbite senza occhi.
Funziona ancora la zona Modalhor, dove arrivano camion che sono caricati sui treni per fare, grazie a incentivi ancora non beccati dall’Unione europea come aiuti di Stato, meno di 200 chilometri, da Orbassano a Aiton, in Francia, e poi tornare serenamente sulle strade.
L’attesa nella Fortezza Bastiani continua. Per ora passa qui, tra le sterpaglie, soltanto un’ottantina di treni alla settimana, meno di dieci al giorno. Il Tav dovrà fare il miracolo. Il Terminale aspetta la sua terza vita, dopo le fasi della breve crescita e del rapido declino. Ma non è facile prevedere quale sarà il suo destino, indissolubilmente legato al Tav Torino-Lione che nel tempo è già cambiato più volte. All’inizio era il Treno ad alta velocità per passeggeri, pronto a salire in Val di Susa e infilarsi a Venaus nel lunghissimo tunnel verso Lione. Constatato che non c’erano frotte di passeggeri smaniosi di andare in treno a Lione, ecco la conversione del Tav in Tac, Treno ad alta capacità per le merci. Dopo il 2010 i nuovi progetti prevedono che il tunnel inizi a Susa invece che a Venaus, con una nuova linea che scende ad Avigliana e poi a Orbassano e via verso Settimo Torinese, non senza aver bucato con un’altra galleria la collina morenica di Rivoli.
Nel 2014 il ministro Graziano Delrio cambia qualcosa: il tunnel resta, naturalmente, ma fuori dal buco si utilizza la linea vecchia, da Bussoleno ad Avigliana, e poi Orbassano, e poi Torino. Ora si sono inventati il MiniTav, dove si risparmia qualcosa sulla linea e il tunnel resta intatto. Il problema è cosa farci passare, nel tunnel. Come lo Scalo di Orbassano insegna, il trasporto merci è in declino. Negli ultimi vent’anni il traffico merci con la Francia (strada più ferrovia) è statico. Era 50 milioni di tonnellate nel 2000, è calato a 45 nel 2005, precipitato a 38 nel 2009, negli anni seguenti si è mantenuto tra 41 e 44 milioni di tonnellate all’anno.
I promotori del Tav prevedono che crescerà fino a 110 milioni nel 2053, ma perfino il commissario di governo Paolo Foietta ha dovuto ammettere nel novembre 2017 che quell’incremento è palesemente sovrastimato. In compenso la linea oggi esistente ha già la capacità di trasportare da 20 a 30 milioni di tonnellate l’anno, ma le merci che effettivamente passano sui treni sono calate da 10 milioni (1997) a 7 (2007) a 3 (2017). Non sono andate via strada, perché sono scese anche le quantità totali in Val di Susa (strada più ferrovia), dai 24 milioni del 1997 ai 15 del 2017. Lo stesso calo percentuale è visibile nel trasporto merci al Monte Bianco (solo strada). Eppure la fede delle vestali della Fortezza Bastiani è incrollabile. Sperano nella moltiplicazione delle merci e dei treni e nella risurrezione dei morti dello struggente Terminale di Orbassano.