Un invitante sconto sulle tasse riservato ai cervelli che rientrano in Italia li aveva spinti a tornare a casa dopo aver svolto attività di ricerca all’estero. Poco dopo, però, è arrivata la doccia fredda: l’Agenzia delle Entrate ha stabilito, contraddicendo una sua precedente pronuncia, che quell’agevolazione non spettava loro. O quantomeno non in quelle dimensioni.
E così per molti ricercatori quell’incentivo si è in realtà trasformato in una beffa. Insomma, hanno dovuto pagare le imposte non versate e pure le sanzioni. Una storia che ha molti protagonisti, difficili da quantificare ma sembra verosimile siano in centinaia. Tra questi, diversi operano al Centro comune di ricerca di Ispra (Varese), ente della Commissione europea. Tutto è partito con una legge, approvata nel 2003, che ha creato un regime fiscale molto favorevole per i ricercatori che lavorano all’estero e intendono far ritorno nel nostro Paese. Questa norma abbatte al 10% la base imponibile dei redditi generati dopo in Italia. Tradotto: se guadagni 100 mila euro all’anno, devi dichiararne solo 10 mila e su quest’ultima cifra va applicata l’aliquota. Lo scopo era favorire appunto il rientro dei cervelli. La burocrazia però ha messo i bastoni tra le ruote a un’iniziativa nata con buoni propositi. Da qualche mese, infatti, l’Agenzia delle Entrate ha iniziato a svolgere accertamenti su diversi ricercatori che avevano goduto di quella norma.
Il motivo è che, secondo l’amministrazione tributaria, per beneficiarne serviva l’iscrizione all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (Aire). La stessa Agenzia delle Entrate, rispondendo nel 2010 alla domanda di un contribuente, aveva tuttavia ritenuto sufficiente la residenza fiscale nel Paese straniero. Quindi in tanti, pur non iscritti all’Aire, si erano attenuti a quanto messo nero su bianco dalla pubblica amministrazione ormai nove anni fa.
Negli ultimi mesi del 2018 è stata richiesta ai contribuenti coinvolti la documentazione che provasse l’esistenza dei requisiti previsti dalla norma. I ricercatori e ai docenti che non si erano iscritti all’Aire sono stati sanzionati. A questi l’Agenzia ha concesso al massimo uno sconto fiscale previsto da un’altra legge che consente di abbattere i redditi dell’80% per le donne e del 70% per gli uomini. Norma che tra l’altro è ritenuta penalizzante, perché obbliga a restare in Italia per cinque anni, quindi per uno studioso significa rinunciare a future opportunità di lavoro all’estero. Quanto accaduto rischia di scoraggiare il ritorno di tanti giovani studiosi auspicato da tutti, a partire da chi – seduto tra i banchi del governo – parla dell’emigrazione come una delle prime emergenze nazionali.