La sgangherata gestione dell’analisi costi-benefici sul Tav nelle mani del ministro Danilo Toninelli provoca ormai una guerra quotidiana tra i gialloverdi. Ieri il casus belli è stata la consegna del dossier, che stronca l’opera, alla rappresentanza della Commissione Ue in Italia. Martedì era toccato all’ambasciatore francese, Christian Masset. Quasi fosse un trattato internazionale. La decisione ha fatto infuriare Matteo Salvini: “Perché dei numeri che riguardano il futuro degli italiani sono conosciuti prima a Parigi che a Roma? Io non cambio idea – ha attaccato il leader leghista – l’Italia sulle grandi opere pubbliche deve andare avanti, non bloccare e tornare indietro”. Dagli uffici di Toninelli è arrivata una replica beffarda: l’analisi doveva essere prima condivisa con gli interlocutori “ossia Francia in prima battuta e Commissione Ue” e, solo dopo, ma a strettissimo giro – cioè oggi – agli alleati di governo. “Nemmeno io l’ho vista”, ha aggiunto Luigi Di Maio.
Da settimane Toninelli prende tempo, evitando di pubblicare il documento affidato a una task force di esperti guidati dall’economista Marco Ponti. Sarà pubblicato “la prossima settimana”, assicura il ministro. Per dare tempo a Francia e Ue di valutare i dati, poi sarà fissato un incontro.
Lo scontro sui tempi nasconde in realtà quello sul futuro dell’opera. L’analisi infatti descrive la Torino Lione come uno spreco di soldi pubblici. Nello scenario intermedio i costi superano i benefici di quasi 7 miliardi, come anticipato ieri da La Stampa. Uno sbilancio enorme, che non lascia scampo per trovare appigli per un’opera per la quale sono già stati spesi 1,4 miliardi; ne restano da spendere 10, di cui 8,6 per il solo tunnel di base (57 km): 35% a carico dell’Italia (3 miliardi); 25% Francia e 40% Ue.
Per settimane la Lega ha provato a convincere il Movimento proponendo un taglio dei costi. Il “mini Tav” avrebbe perso gli 1,7 miliardi del collegamento italiano al tunnel (quello francese è già stato scartato dai governi transalpini). L’opera si sarebbe così ridotta, come di fatto ormai è, al solo traforo del Moncenisio. Una modifica, però, che non cambiava il risultato dell’analisi: senza la tratta italiana, infatti, calano i costi, ma anche i benefici visto che i guadagni di tempo per il traffico merci si riducono al solo tunnel. Fallito il tentativo, la Lega ha deciso di contestare direttamente i numeri dell’analisi, forte dei dati sfornati dal costruttore del italo-francese del Tav, la società Telt.
Da giorni la grande stampa insiste su un presunto “difetto” del dossier: considera tra i costi anche il mancato incasso delle accise sui carburanti e dei pedaggi da parte dello Stato a causa del traffico merci che verrebbe dirottato dalla strada alla ferrovia con un beneficio per l’ambiente. Nell’analisi sul Terzo Valico ligure pesavano per 905 e 864 milioni. Senza considerare le minori accise, il giudizio sarebbe diventato meno negativo (da -2,3 miliardi a -600 milioni), anche se il governo ha deciso di dare lo steso il via libera all’opera, assai cara alla Lega motivandolo con il rischio di dover pagare 1,2 miliardi di presunte “penali”.
Le linee guida del ministero non chiariscono se le due voci vadano conteggiate nelle analisi costi-benefici. Quelle europee lo prevedono, anche se le ultime versioni sono meno esplicite. Resta però che sono previste dalle linee guida francesi e da una lunga consuetudine accademica. Al punto che la stessa analisi costi-benefici del 2011, voluta dall’osservatorio di Palazzo Chigi sul Tav mostrava ben visibili nelle tabelle riassuntive sia i costi per i gestori autostradali che per lo Stato in termini di tassazione perduta (il tutto per oltre 16 miliardi di euro). In ogni caso, però, anche escludendo le due voci, il dossier sul Tav mostrerebbe lo stesso uno sbilancio negativo tra costi e benefici, anche se di minore entità.