A furia di sentirci ripetere che siamo il giornale dei 5Stelle, o del governo, o addirittura della Lega (intanto Salvini ci ha fatto una decina di cause), ogni tanto ci viene la tentazione di esserlo davvero: almeno sapremmo di essere ascoltati. Invece titoliamo “Mezzo M5S parla come B.” (titolo tipico da organo pentastellato) e i 5Stelle si avviano festosamente al suicidio collettivo con il no all’autorizzazione a procedere contro Salvini. Critichiamo il segreto di Stato sull’analisi costi-benefici del Tav, e continuano a tenerlo nel cassetto, mentre la Lega spara cifre a casaccio. Scriviamo che l’economia va male e richiede investimenti urgenti, e continuano a dare la colpa ai governi precedenti, che di colpe ne hanno a bizzeffe, ma appunto per questo non sono più al potere da otto mesi.
Ecco, se fossimo l’house organ dei giallo-verdi, domanderemmo ai nostri padroni: posto che non avete mai nessuna colpa, che un nuovo boom economico è alle porte e che il 2019 sarà bellissimo, cosa intendete fare per invertire la spirale negativa che dalla fine del 2018 attanaglia l’economia? Sappiamo bene che non c’entrano nulla né la drôle de guerre con la Francia (tutta campagna elettorale, sia da parte di Macron sia dal fronte giallo-verde), né la frenata sul Tav Torino-Lione, né il presunto blocco di centinaia di grandi opere (mai esistite e mai bloccate da nessuno: le poche vere vanno a rilento dalla notte dei tempi), né l’ultima legge di Bilancio (in vigore dal 31 dicembre, dunque ininfluente sull’ultimo quadrimestre 2018), né il decretino Dignità, né il reddito di cittadinanza, né quota 100, né i bruciori di stomaco di Confindustria, del Partito del Pil e delle madamine.
Ed è pur vero che il nostro Pil è sempre circa un punto indietro rispetto alla media europea (+0,8% contro 1,8 nel 2018, +1,5% contro 2,4% nel 2017, +0,9% contro 1,7% nel 2016, +0,8% contro 1,6% nel 2015). Ma è anche per questo che 5Stelle e Lega hanno sconfitto chi c’era prima: perché promettevano di fare meglio, non di usare il peggio come alibi. Come ha ricordato Peter Gomez sul Fatto, “al contrario di quanto previsto dai precedenti esecutivi, gli investimenti dello Stato nel settore costruzioni tra il 2016 e il 2018 sono calati di 3,7 miliardi, mentre avrebbero dovuto aumentare di 6,8. E non per mancanza di fondi. I soldi ci sono e sono pure tanti. Il nuovo governo si è ritrovato in eredità ben 140 miliardi di euro, spalmati su 15 anni, immediatamente utilizzabili grazie a un accordo con la Banca europea degli investimenti”.
Ma nessuno degli ultimi governi ha saputo spenderli, “principalmente a causa delle nostre leggi e della nostra burocrazia. Per questo gli attuali ministri, anziché prendersela con gli errori dei predecessori, dovrebbero dirci quando e come inizieranno a investire il denaro che hanno già in tasca”. Il premier, in ottobre, aveva convocato a Palazzo Chigi i vertici delle aziende pubbliche e partecipate per strappare un impegno su nuovi investimenti pubblici e assunzioni, grazie anche al turn over di quota 100. Che ne è di quelle promesse? Il governo ha spesso annunciato una riforma per snellire il codice di procedura civile e quello degli appalti, si spera d’intesa col presidente dell’Anac Raffaele Cantone, che peraltro ha apprezzato molti punti qualificanti del prodotto migliore di questa maggioranza, cioè la Spazzacorrotti: novità in merito? I 5Stelle che si oppongono, giustamente, al Tav e ad altre faraoniche cattedrali nel deserto (peccato non essere arrivati in tempo a bloccare il Mose, la Brebemi, il Terzo Valico, ecc.), evocano fantomatici “piani Marshall” per le piccole e medie opere di manutenzione e riassetto del territorio che, diversamente da quelle grandi, hanno bassi costi e alta occupazione: in attesa di trovare i fantastiliardi di un nuovo piano Marshall, ci accontenteremmo di un pianuccio Conte con pochi obiettivi per spendere presto le risorse esistenti. E qualche idea chiara per trovarne di nuove. Siccome non si può aumentare la spesa pubblica, salvo innescare nuovi scontri con l’Ue che impennerebbero vieppiù lo spread, i soldi vanno presi dove sono. E cioè nel grande serbatoio dell’evasione.
La “pace fiscale” col saldo e stralcio per i debiti con Equitalia, limitato a chi è sotto i 20 mila euro di Isee (o a chi tale risulta perché bara), ha sgombrato il campo dai “contribuenti in difficoltà” che non pagano non perché vogliono evadere, ma perché non hanno soldi. Ora è il caso di passare all’annunciato piano B: e cioè alle manette agli evasori. La norma, inizialmente infilata da Bonafede nella Spazzacorrotti, ne uscì in cambio del ritiro della porcata leghista svuota-peculato. E fu rinviata a un provvedimento organico ad hoc, annunciato per l’inizio del 2019, che però è sparito dai radar. Se prima c’era la scusa di non fare di tutta l’erba un fascio fra contribuenti in bolletta ed evasori impenitenti, ora non c’è più. E, nel paese europeo detentore del record di evasori e frodatori (che sottraggono alla collettività la bellezza di 120-150 miliardi all’anno), l’unico incentivo efficace per costringerli a pagare il dovuto è la certezza della galera. Pareva averlo capito persino Salvini, che un anno fa in campagna elettorale scavalcava in giustizialismo il M5S: “Sono d’accordo per la galera per chi evade: se io riduco le tasse e tu non paghi io butto la chiave, sul modello americano” (18.1.2018). Tant’è che poi firmò con Di Maio il contratto che impegnava il governo a “inasprire l’esistente quadro sanzionatorio, amministrativo e penale, per assicurare il ‘carcere vero’ per i grandi evasori”. Gentili giallo-verdi, anche se non siamo il vostro house organ, ci fate sapere?