Tra il 2015 e il 2016 i vertici dei servizi segreti mi comunicano che intendono procedere all’inserimento di una figura di rilievo nella struttura di intelligence. Si tratta del Capitano Ultimo, come si fa chiamare un ufficiale dei carabinieri che ha partecipato alla cattura di Totò Riina e che per questo gode dei favori di larga parte dell’opinione pubblica. Mi viene descritto come un segugio infallibile e l’operazione mi si prospetta come fondamentale per raggiungere il primo obiettivo che ho dato alla struttura, insediandomi al vertice del governo, (…) nel 2014: la cattura del nuovo capo della mafia, Matteo Messina Denaro. (…)
Quando mi presentano l’operazione “Capitano Ultimo”, rimango sorpreso. Perché coinvolgermi nella scelta dei singoli operativi? A differenza di molti predecessori e successori, ho deciso di non inserire nemmeno uno dei miei nella struttura dei servizi. (…) Quando mi viene detto, dunque, che per catturare Matteo Messina Denaro è assolutamente necessaria la competenza di Ultimo, la prendo come un’informazione e incoraggio l’operazione: se funzionale allo scopo di catturare Messina Denaro e dare al mondo l’immagine di un’Italia che continua la lotta contro la mafia, andate avanti e assicurate alla giustizia questo criminale sanguinario. Non immagino che quella vicenda, in realtà, nasconda qualcosa di diverso. Lo capirò soltanto dopo una serie di fatti, legati da un filo rosso, che altri – non il sottoscritto – avranno probabilmente intenzione di raccontare. Magari in forme non tradizionali.
Quel che è certo è che Ultimo viene coinvolto nella struttura dell’intelligence non da solo, ma insieme a un corposo nucleo di collaboratori, provenienti dall’arma dei carabinieri, che, unico caso nella storia dell’intelligence italiana, verranno espulsi dai servizi e rimandati indietro quando si scoprirà che hanno lavorato insieme a elementi dell’Arma i quali, secondo i magistrati, stavano manipolando le prove contro di me. Rumors dicono, infatti, che il gruppo di Ultimo, che arriva dal Noe, un particolare reparto dei carabinieri, non viene assegnato alla caccia di Matteo Messina Denaro, ma a un’altra missione. Sembra poi che qualcuno all’interno di quel gruppo sbagli cognome, sbagli Matteo. I magistrati di Roma hanno chiesto il processo per uno di loro, il colonnello Gianpaolo Scafarto. È lui che tecnicamente avrebbe manipolato le prove, secondo quanto risulta dalle indagini della Procura della Repubblica. Ed è lui che qualche mese prima dei fatti contestati esplicita la sua linea a un magistrato di Modena, Lucia Musti, che sotto giuramento al Csm riporterà le parole testuali: “Dammi le prove per arrivare a Renzi. Devo arrestare Renzi”. Cosa c’entravo io? E quale Renzi cercavano questi uomini del Noe? Perché scomodare un magistrato di Modena? E perché Scafarto, sotto processo, verrà poi investito del ruolo di “assessore alla legalità” in un comune campano, smettendo la divisa per fare politica in un’amministrazione guidata da avversari politici?
La vicenda si tinge di giallo per chi non ha chiaro il disegno generale. Prima o poi verrà alla luce se tutto sia davvero partito da altre indagini, archiviate molto rapidamente, su fondazioni e finanziamenti alla politica. E prima o poi si farà chiarezza su come da un’indagine su una cooperativa, Cpl-Concordia, all’improvviso si passi a Consip, il presunto scandalo su cui viene indagato il mio braccio destro, Luca Lotti. Sono assolutamente sicuro che Lotti non abbia mai passato alcuna notizia ai dirigenti di Consip. Ma siamo certi che, nelle stesse ore, altri non abbiano trasmesso informazioni riservate a politici e amministratori di rilievo per evitare che nei principali scandali di quegli anni fossero implicate importanti personalità del mondo romano? Chissà. Forse non sarà un articolo, forse non sarà una mozione parlamentare, forse non sarà una relazione tecnica, ma un giorno qualcuno troverà il modo di mettere nero su bianco quanto è successo.
Se davvero non è accaduto niente, perché tutto il gruppo di Ultimo, di colpo e con un atto senza precedenti, viene rimandato indietro e riprende servizio nei carabinieri? Magari ne capiremo la ragione e forse sapremo davvero quanto avveniva in quel periodo nell’Arma, istituzione straordinaria davanti alla quale mi inchino, ma che all’epoca pativa una strisciante tensione interna legata al cambio di vertice. In tutta questa dinamica mio padre (ovviamente estraneo a tutti i movimenti appena descritti) viene coinvolto per due anni, con le aperture dei quotidiani e dei Tg per giorni interi, in ragione di un presunto traffico di influenze – ipotesi di reato invero non chiarissima. Sarà la stessa procura a chiederne l’archiviazione. Ma se la verità processuale sarà scritta nelle aule dei tribunali, va sottolineato con forza che si pone un enorme tema di natura istituzionale. Il presidente del Consiglio dei ministri, comunque si chiami, non può essere oggetto di una campagna di aggressione da parte di elementi delle istituzioni.