Una crisi industriale che si trascina da otto anni ma che è diventata ora per i 5 Stelle una mina innescata, in una terra dove il Movimento ha raccolto quasi il 50% dei consensi alle ultime elezioni politiche. Si tratta dello stabilimento ex Fiat di Termini Imerese: mille lavoratori, tra diretti e indotto, a cui nel dicembre scorso sono scaduti gli ammortizzatori sociali, con le prospettive del sito produttivo che sono oscure e la protesta che monta. Una delegazione di sindacalisti e sindaci siciliani mercoledì scorso è andata a protestare davanti al ministero dello Sviluppo Economico, ma non ha avuto le risposte che voleva. Quanto basta all’opposizione per parlare di fallimento della politica industriale: “Il ministro dello Sviluppo passa il tempo a distruggere posti di lavoro, fra una gita con Di Battista e un caffè coi gilet gialli”. Ha affermato mercoledì la vice capogruppo del Pd, Chiara Gribaudo, dopo il question time alla Camera col ministro Luigi Di Maio. Dimenticando, forse, che si parla degli sviluppi del generoso accordo del governo Renzi con Blutec, firmato dalla allora ministro dello Sviluppo, Federica Guidi. “Anche questo questo è jobs act” aveva scritto trionfalmente su Twitter l’ex premier lodando l’accordo.
L’affare Blutec. L’impianto siciliano fa capo dal 2014 alla Blutec, società del gruppo Stola/Metec, della famiglia Ginatta, storico fornitore e partner della Fiat (poi Fca). E’ il risultato di un accordo firmato nel 2014, dopo il fallito tentativo di accollare la fabbrica, chiusa nel 2011, a un altro nome italiano del settore automotive, la Dr Motors. L’accordo tra l’agenzia governativa Invitalia e Blutec prevedeva la proroga della cassa integrazione per quattro anni e l’esborso di 350 milioni di euro di fondi, dello Stato e della Regione Sicilia, in cambio di una re industrializzazione che avrebbe comportato il progressivo riassorbimento di circa mille lavoratori, tra ex dipendenti Fca e dell’indotto, a partire dal 2016. A Termini Imerese si sarebbero prodotti e assemblati motori elettrici per i furgoni Doblò (prodotto da Fca in Turchia) e per nuovi veicoli a tre ruote delle Poste, ed altri motori e componenti per il mercato internazionale dell’auto. Con un peso degli ordinativi Fca attorno al 60% del totale.
Ritardi e inchieste. Solo che le cose non stanno andando secondo i piani. Di Doblò elettrici, che sarebbero dovuti entrare in produzione alla fine dell’anno scorso, finora se ne è assemblato, con il contributo dei tecnici venuti da Fca, solo qualche esemplare per i test, il resto delle produzioni sono più che altro sulla carta. Con il risultato che i lavoratori riassorbiti sono stati finora 130, mentre 570 sono a spasso, come a sono spasso i circa 300 dell’indotto. Il problema è che Blutec non sembra in grado portare avanti il piano, almeno nei termini stabiliti. La società ha problemi di cassa, tanto che non è chiaro come abbia speso una tranche da 21 milioni di euro del finanziamento stanziato dalla Regione Sicilia. La Procura di Termini Imerese nell’ottobre scorso ha aperto un’inchiesta, la Guardia di Finanza è entrata in fabbrica e ha sequestrato documenti e i file dei computer.
“Blutec si è impegnata a restituite quei soldi”, spiega Roberto Mastrosimone, segretario della Fiom siciliana, “ma è in una difficile situazione finanziaria, è in ritardo con i pagamenti delle quote al fondo pensione dei lavoratori e non sappiamo se è in grado di restituire neppure i primi 5 milioni del contributo contestato, che sono la condizione per rivedere il piano industriale con Invitalia, come ha chiesto l’azienda, e accedere al resto dei finanziamenti”.
Grana ministeriale. Il 26 ottobre scorso davanti ai cancelli di Blutec è arrivato il ministro Di Maio. Sorrisi, pacche sulle spalle e rassicurazioni sul rinnovo della cassa integrazione e degli altri ammortizzatori sociali, per una sessantina di lavoratori in mobilità. Il 19 un nuovo incontro, al ministero, con i sindacati. Ma ad oggi, però, il relativo decreto ministeriale non s’è visto. Al ministero fanno sapere che il provvedimento è all’esame dei tecnici. “È una crisi molto complessa”, dicono in via Veneto, “lo spiegherà Di Maio, quando andrà di nuovo a Termini Imerese il 23 febbraio prossimo”. Una visita programmata per tenere buoni gli animi, in anticipo rispetto al tavolo di confronto che era stato fissato per il 5 marzo.
“Oltre agli ammortizzatori sociali, c’è un problema industriale”, spiega ancora Mastrosimone, “e se Blutec non è in grado di portare avanti il piano, deve intervenire la Fca che oltre ad essere il primo cliente, è l’azienda che ha fatto la regia di tutta l’operazione. Fca non avrebbe potuto fare le mille assunzioni a Melfi nel 2015, se non si fosse trovato un accordo su Termini Imerese, ora si deve prendere le sue responsabilità”. Un approccio che del resto condivide lo stesso ministro dello Sviluppo: “Io sono di Pomigliano d’Arco”, ha detto ai lavoratori di Termini Imerese a ottobre, “abbiamo visto la Fiat prendere i soldi e poi un po’ alla volta togliere le produzioni. Quello che voglio fare è chiamare Fca alle sue responsabilità. È un mondo legato alla Fca, a cui dobbiamo chiedere di mantenere gli impegni”.
Vista l‘ecotassa sui motori inquinanti introdotta con la legge di Bilancio 2019, e visto il ritardo di Fca rispetto ai concorrenti sui motori elettrici, il sito di Termini Imerese avrebbe delle grandi potenzialità, ma il problema, per il governo, è di metterle in atto rapidamente. In Sicilia alle elezioni politiche del 4 marzo il Movimento 5 Stelle ha sbancato, e in particolare a Termini Imerese, dove è arrivato al 47%; ma sono elettori a rischio delusione: “Qui diventano tutti salviniani”, dice il segretario della Fiom.