L’intervista

Sanremo, Mahmood: “Io tra Soldi, Salvini e Ultimo. Poi gay o etero è lo stesso”

Il vincitore del Festival si dice italiano al 100%, parla in dialetto sardo e ignora l’arabo. E non ha bisogno di “coming out”

18 Febbraio 2019

Mahmood non se lo immaginava proprio di vincere il Festival di Sanremo. “Mi sembrava già un miracolo essere là. Era proprio una cosa impensabile. Non l’ho immaginato neanche quando mi hanno detto che ero tra i primi tre. Gli altri due, Ultimo e il Volo, nel backstage sono subito entrati nel mood podio. Se ne stavano zitti, tesissimi, convinti forse di giocarsela tra loro. Io no: parlavo, scherzavo, cantavo. Era già una festa a prescindere finire tra i primi tre”. E quando hanno detto che la canzone vincente era proprio la sua? “Mi si è azzerato tutto”.

Alessandro Mahmoud, in arte Mahmood, gioco di parole tra il cognome e l’espressione inglese “My mood”. Nato nel 1992 a Milano da padre egiziano, che lo ha abbandonato a sei anni, e madre sarda. Venerdì uscirà il suo primo disco, “Gioventù bruciata”. Su Spotify, Soldi ha già superato i 12 milioni di ascolti. Record mondiale (sì, mondiale).

E pensare che nel 2012, a X Factor, la eliminarono subito.

Non mi fece piacere, ma non ho mai pensato di smettere. Ero nella squadra di Simona Ventura. Avevo 20 anni, ero appena uscito dal liceo e già allora pensavo che, quando perdi o fallisci, la colpa è solo tua perché non sei riuscito a farti capire. Perdere mi provoca solo rabbia e voglia di lavorare ancora di più.

Si è reinventato barista.

Prendevo l’auto alle 4 e mezzo di mattina e facevo cappuccini fino alle 12 e 30. Poi staccavo e studiavo pianoforte. Così per due anni e mezzo.

Nel 2016 va per la prima volta a Sanremo.

Quarto tra le Nuove Proposte. Fui l’unico giovane in gara che, poi, non uscì con un disco tutto suo. Ero sotto contratto con la Universal. Anni complicati. Mi dissero che intuivano un potenziale, ma che ancora le mie canzoni non funzionavano. Così mi fecero scrivere per altri.

Fabri Fibra, Gué Pequeno, Marco Mengoni.

Fabri mi ha dato tanto. È uno degli artisti più umani, umili e disponibili che io conosca. Guè scrisse un tweet su di me dopo l’uscita di Pesos nel 2017. Disse che ero una bomba: mi parve impensabile che un artista affermato come lui parlasse di me. Per Marco (Mengoni) ho scritto tre brani. È molto simpatico.

La sua vittoria è diventata un caso politico.

Non mi ha fatto piacere, ma l’ho vissuta poco. Le critiche costruttive mi fanno bene: devo ancora dimostrare tutto. Se però mi critichi per le origini di mio padre, allora è sbagliato tutto in partenza.

C’è chi pensa che lei sia stato scelto come vincitore per dare un segnale di sinistra in un momento di razzismo imperante.

Discorsi senza senso. Sono nato a Milano e sono italiano al 100%. Non sono un simbolo di niente e queste letture sono un buco nell’acqua. Se la mia vittoria aiuterà le famiglie miste ne sarò felice, ma la mia generazione è abituata all’integrazione. Alle elementari, alle medie e al liceo ho sempre fatto parte di classi miste. Queste cose esistono già: per noi è la normalità, per alcuni giornalisti e politici forse no.

Tipo Salvini?

Credo abbia provato a telefonarmi il giorno dopo la vittoria, ma ho perso la chiamata perché è stata una giornata delirante. Poi ho letto una sua intervista in cui diceva che mi aveva mandato un sms. Ho controllato: aveva ragione. Erano così tanti che neanche l’avevo visto. Glielo leggo?

Prego.

“Ciao, qui Matteo Salvini. Al di là dei gusti musicali (io preferisco altro), goditi il tuo successo!”. Gli ho risposto ringraziandolo.

È vero che alle Comunali a Milano ha appoggiato Parisi?

Più o meno. Mi sono fidato dell’amico di mio cugino e ho condiviso il post di un candidato vicino a Parisi. Ho sbagliato, perché avrei dovuto informarmi di più e capire bene cosa vuole e non vuole il centrodestra. Invece mi fidai e non lo feci.

La cosa buffa è che la sinistra l’ha eletta a simbolo, ma il testo di Soldi non è esattamente un inno all’integrazione. Come non lo è la storia di un padre egiziano che abbandona il figlio italiano.

Soldi ha un testo molto chiaro che non dà giudizi: racconta una storia e basta. Mio padre ogni tanto lo sento, è successo anche dopo la vittoria a Sanremo. Col tempo qualche spigolo si smussa e ci si chiarisce. O ci si prova.


Soldi
ha superato i 12 milioni di ascolti su Spotify.

Una cifra impensabile, per uno come me che fino a ieri sognava di arrivare al massimo a 100mila. Invece adesso c’è una parte di me che dà quasi per scontato di arrivare a 20 milioni.

Restare coi piedi per terra sarà dura.

Al futuro chiedo solo una cosa: mantenere la stessa voglia ed energia di adesso.

Stanno nascendo cover di Soldi in tutto il mondo.

La mia preferita è quella ucraina. Una versione assurda e meravigliosa.

Ultimo ha rosicato parecchio per il secondo posto.

Non credo sia rosicamento. Durante la settimana di Sanremo hai troppa ansia, il clima è tremendo e straboccare dal vaso è un attimo. A lui è successo: magari pensava davvero quel che ha detto e magari invece non lo ridirebbe. Lo sa solo lui.

È vero che non parla arabo ma sa benissimo il sardo oroseino?

Verissimo. Di arabo so qualche mezza parola sentita nella mia infanzia. In casa invece parlo sardo. Mia madre lo è. D’estate vado sempre a Orosei: il mare più bello del mondo.

Con la fama arriva il gossip. Dicono che lei sia gay e che dovrebbe fare coming out.

Non mi pongo il problema. L’idea stessa del coming out è un passo indietro, perché presuppone il bisogno di dividerci tra etero e omosessuali. È come per l’integrazione: queste cose, per la mia generazione, esistono già. Se vado a letto con un uomo o una donna non frega niente a nessuno.

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