Grazie a un emendamento approvato ieri in Senato per molti poveri di origine straniera sarà impossibile ottenere il reddito di cittadinanza: Lega e Cinque Stelle hanno stabilito che per gli stranieri extracomunitari non basterà l’Isee (l’indicatore della situazione economica) a dimostrare lo stato di bisogno, ma servirà anche una certificazione di reddito e patrimonio del nucleo familiare rilasciata dallo Stato di appartenenza, tradotta in italiano e “legalizzata dall’autorità consolare italiana”. Sono esentati i rifugiati politici e chi proviene da Paesi dai quali non si può ottenere la certificazione, ma per gli altri questa modifica alla legge sul reddito introduce una barriera che rischia di essere insormontabile. E che può avere conseguenze serie su tutto il welfare che ricevono gli immigrati in Italia.
Nell’autunno scorso ha suscitato grande scandalo il caso del Comune di Lodi. Nell’estate del 2017 la sindaca della Lega Sara Casanova ha emanato una delibera per modificare i requisiti per accedere alle tariffe agevolate per le mense scolastiche e i bus: ai genitori extracomunitari veniva richiesto di presentare, oltre all’Isee, anche una documentazione che attestasse la condizione economica nel Paese di origine, per verificare che fossero davvero bisognosi anche in patria. Circa 200 famiglie straniere non sono riuscite a presentare i documenti e i loro figli sono stati esclusi dai benefici. Due associazioni di tutela dei diritti dei migranti, Naga e Asgi, hanno portato in tribunale a Milano il Comune di Lodi. Il giudice Nicola Di Plotti si è pronunciato, ha stabilito che c’era una “discriminazione diretta” nei confronti delle famiglie con genitori extracomunitari. Ma la motivazione di quella sentenza potrebbe essere ora superata dagli eventi: “Non esistono principi ricavabili da norme di rango primario che consentano al Comune di introdurre, attraverso lo strumento del Regolamento, diverse modalità di accesso alle prestazioni sociali agevolate, con particolare riferimento alla previsione di specifiche e più gravose procedure poste a carico dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea”.
Adesso però una norma di rango superiore al regolamento comunale che offra una base giuridica alla discriminazione degli immigrati c’è: la legge sul reddito di cittadinanza, nella versione votata ieri in Commissione (può ancora essere modificata). Morale: se la sindaca di Lodi Casanova ora volesse tornare a escludere i bambini figli di genitori extracomunitari dalla mensa, potrebbe farlo invocando la legge sul reddito di cittadinanza.
Non è il solo paradosso: l’incidenza della povertà assoluta, secondo l’Istat, è massima proprio tra le famiglie di soli stranieri: una su tre è sotto la soglia. Eppure saranno poche quelle che beneficeranno del sussidio anti-povertà voluto dal M5S. Già la prima versione della legge istitutiva riduceva da 241.000 famiglie rispondenti ai criteri a 154.000 quelle con diritto al reddito di cittadinanza. Secondo le simulazioni dell’Istat quelle che avrebbero davvero beneficiato della misura erano in realtà soltanto 95.000. Adesso, con la muraglia di burocrazia eretta dall’emendamento approvato ieri, saranno molte di meno.
Nel suo primo passaggio parlamentare il reddito di cittadinanza ha rischiato di essere stravolto. Non per l’assalto delle opposizioni, ma della Lega che ha tentato di metterne in discussione alcuni punti fondanti come la durata: oggi è sulla carta illimitata, con un mese di pausa dopo ogni ciclo di diciotto mesi. La Lega voleva che ci fosse un ciclo solo. I Cinque Stelle hanno evitato modifiche sostanziali, ma hanno dovuto accettare qualche compromesso che ha reso ancora più complessa la burocrazia connessa al sussidio. Per esempio le ore di lavoro volontario richieste al beneficiario della misura possono salire dalle otto originarie a sedici. Quasi nessun Comune è attrezzato per mettere all’opera schiere di disoccupati senza qualifiche particolari. Ma se un sindaco introduce un programma di lavoro gratuito con l’orario massimo e qualche disoccupato che riceve il sussidio non lo rispetta, avrà un argomento in più per restringere la platea.
A fronte di una presunta emergenza di cambi di residenza (i single prendono più soldi che i membri di una coppia), Lega e M5S hanno poi voluto un’altra zeppa burocratica: se una coppia si è separata dopo settembre 2018, servirà un verbale della polizia municipale per certificare che i due vivono davvero in case diverse. E chissà quanti nuovi paletti arriveranno col passaggio in aula e poi alla Camera.