Il nemico numero uno del M5S da oggi non si chiama né Salvini né Renzi ma “voto utile”. La polarizzazione registrata in Abruzzo e più ancora in Sardegna pone il Movimento in una condizione scomoda, quella del classico vaso di coccio tra i vasi di ferro. I candidati di Luigi Di Maio alla prova dei fatti non si sono rivelati una valida alternativa al centrodestra. E gli elettori potrebbero velocemente adattarsi alla lezione delle ultime due consultazioni regionali.
Chi vuole arginare l’ondata sovranista nelle amministrazioni d’ora in poi sarà ancora più restio a mettere la croce sulle 5 Stelle. Chi ritiene davvero che i messaggi di Salvini aprano la strada al razzismo, sarà sempre più portato a votare a sinistra. Il M5S non è da tempo alternativa politica a livello nazionale per la semplice ragione che governa con Salvini. La novità è che non lo è più nemmeno a livello locale. Stavolta per via dell’aritmetica.
Il calo dei voti potrebbe avere un effetto moltiplicatore non solo dal punto di vista numerico ma anche politico: al calo dei voti per colpa dello spostamento a destra del vertice potrebbe seguire un ulteriore spostamento a destra della base. Chi ha una formazione di sinistra e ha votato e magari rivoterebbe M5S per le sue battaglie sulla legalità potrebbe preferire tapparsi il naso e tornare a votare a sinistra pur di non far vincere Salvini. Chi ha votato M5S in Sardegna e Abruzzo ma ha il mal di pancia per gli eccessi di legittima difesa e per il blocco delle navi non sarà felice dall’effetto pratico del suo voto.
Il voto al Movimento in Abruzzo ha spianato la strada a un ex militante del Msi e in Sardegna ha tirato la volata a un ex alleato di Francesco Cossiga. A livello nazionale lo smottamento si potrebbe ripetere. La legge elettorale vigente mitiga l’effetto maggioritario ma nei collegi uninominali il M5S rischia di restare a bocca asciutta. Prima di affrontare le prossime competizioni Luigi Di Maio dovrebbe studiare con più attenzione la storia di tutti i terzisti, da Mario Segni a Mario Monti.