A otto giorni di distanza dalla morte di Stefano Cucchi, i vertici dell’Arma dei carabinieri esclusero un nesso di casualità tra la detenzione e il decesso. Misero al riparo le loro divise, salvarono la reputazione dell’istituzione. Tutto in due documenti che portano la firma di due alti graduati della stessa Arma che oggi, per un motivo o un altro, si ritrova coinvolta in questa storia. Vuoi con il processo in corso ai cinque carabinieri, tre accusati di pestaggio, vuoi con generali, ufficiali e marescialli indagati per i falsi ma anche per i depistaggi fino al 2015. La messa in sicurezza ad oggi ha una data: 1 novembre 2009. È la data riportata su una nota del Comando provinciale in cui si scrive chiaramente che non ci sono percosse sul corpo di Stefano nè che sono state rilevate emorragie. Si parla di un’autopsia parziale neanche iniziata. La nota porta la firma del comandante interregionale “Ogaden” di Napoli, Vittorio Tomasone, nel 2009 comandante provinciale e mai sfiorato dalle indagini nè allora nè oggi.
È lo stesso generale che il 30 ottobre di quell’anno convoca una riunione in cui non emerse nulla di quanto oggi è al centro del processo ai carabinieri. Quella nota in realtà sembra riprendere il contenuto di un altro documento del giorno prima e con una firma altrettanto eccellente, quella di Alessandro Casarsa, fino a poco fa capo dei corazzieri al Quirinale e nel 2009 comandante del Gruppo Roma.
Dell’atto a propria firma non ne ha memoria Tomasone, che è stato sentito ieri come testimone nel processo in corso ai cinque carabinieri. Tante volte durante la sua deposizione Tomasone dice di non ricordare. Lo fa anche quando Musarò chiede: “Lei sa se l’Arma dei carabinieri avesse nominato specialisti per fare una sorta di consulenza parallela”. E così Musarò, che quell’atto lo ha appena depositato, non riesce a trattenersi: “Sono in imbarazzo (…) Queste righe smentiscono in modo clamoroso Tomasone. Ed è un atto firmato dal generale. Se non me lo fate esibire la dichiarazione risulta falsa e lo dobbiamo far tornare”. E ci riprova: “Come facevate a conoscere i risultati parziali dell’autopsia?”, chiede il pm. Il generale ha replicato di non ricordare come fosse stata assunta quell’informazione. Eppure in questa nota, come spiega il pm, si anticipa il contenuto di un’autopsia che all’epoca neanche esisteva: “L’atto di Tomasone è del primo novembre – spiega Musarò –. Il 23 ottobre 2009 il dottor Tancredi era stato nominato consulente di parte civile. Il 6 novembre Tancredi (…) dice ‘Non sono in grado da solo di fare questa autopsia’ e auspica l’inserimento di altri consulenti’”.
Nella nota dell’Arma del primo novembre però si dice che la Procura il giorno dopo conferirà l’incarico peritale e si chiede di “valutare compiutamente i risultati parziali dell’autopsia sul corpo di Cucchi, che sembrerebbero non attribuire le cause al decesso di traumi, non essendo state rilevate emorragie interne né segni macroscopici di percosse”. Non solo. Si dice anche di “approfondire le cause di una riscontrata frattura di una vertebra lombare e del coccige, che secondo accertamenti clinici sembrerebbe riferita a un periodo significativamente antecedente il momento dell’arresto (come dichiarato da Cucchi ai medici)”.
Così il pm in aula chiede: “Sulla base di quello che scrive lei ‘non c’è nesso di casualità’. Quando lei accerta questo nel momento in cui non c’era stato alcun accertamento, non è che l’ha scritto Casarsa?”. Anche stavolta Tomasone ribadisce di non ricordare.
E lo stesso dice Casarsa ai pm, ma in un’altra occasione. Ossia il 28 gennaio scorso quando è stato interrogato. Sulla nota a sua firma, quella del 30 ottobre dice: “Non so dirvi da chi ebbi le informazioni che sono riportate nella nota”.
Ma torniamo in aula. Ieri Tomasone ha spiegato anche cosa avvenne durante la riunione del 30 ottobre 2009, quella organizzata subito dipo l’esplosione del caso Cucchi. “È stato un arresto normale, come tanti altri”, ha detto Tomasone. “Di lui – ha aggiunto – sentii parlare da agenzie giornalistiche. E venni anche contattato da giornalisti. Ho appreso che l’operazione era fatta dai carabinieri”. In quel momento Tomasone chiama la famiglia Cucchi per esprimere la propria vicinanza e successivamente contatta anche il loro legale, Fabio Anselmo. “Lui l’ho chiamato in un’altra circostanza dopo una intervista ad una tv romana”, quando l’avvocato punta il dito contro i carabinieri. “Si ricorda – chiede Anselmo – che lei mi disse: ‘Avvocato attento alla calunnia’?”. Anche stavolta Tomasone non ricorda.
Sulla riunione del 30 ottobre spiega: “Volevo vedere in viso i militari più che leggere ciò che avevano scritto (…) Nel corso della riunione è emerso che le condizioni fisiche generali non erano ottimali. Un carabiniere della stazione Tor sapienza ha riferito che aveva dei dolori e aveva chiamato il 118. Feci prendere il nastro di quella telefonata al 118. Nell’ascoltarla non notai nulla. Tutto questo portava ad escludere qualsiasi coinvolgimento” dei carabinieri. E riferisce anche di aver avvertito i presenti a quella riunione: “Se c’è qualche altra cosa, ditelo adesso perché questi atti andranno in Procura”.