“Se bisogna andare a casa perché non vogliamo buttare soldi per opere vecchie non vedo il problema. Io un lavoro ce l’ho”.
Stefano Buffagni, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio sul Tav Torino-Lione
Forse Buffagni non avrebbe davvero problemi a ritornare nell’ombra, alla sua tranquillità di professionista, agli affetti a cui per necessità di cose forse oggi non riesce a dedicare tutto il tempo desiderato. Ma se anche la sua fosse una dichiarazione obbligata che gli si strozza in gola, non sapremmo biasimarlo. Perché, diciamolo, il rimpianto sarebbe umano per un uomo politico sanamente ambizioso. Né sarebbe facile un repentino ritorno al passato dopo aver appena assaggiato il miele del potere. Che non è sempre quella cosa brutta, sporca e cattiva contro cui i grillni (e chissà anche il giovanissimo Buffagni) riempivano d’indignazione le piazze al tempo del Vaffanday.
Per carità, le famigerate “poltrone” possono non essere sempre sinonimo di casta o comunque di privilegio. E siamo convinti che Buffagni, e gli altri Cinque Stelle con incarichi parlamentari e di governo le occupino (quasi sempre) con dignità e onore, come richiesto dalla Costituzione. Però è innegabile che entrare nella stanza dei bottoni (anche se il vecchio Nenni confidò di non aver trovato nessun bottone da pigiare), e poter essere il terminale di decisioni strategiche e stanziamenti di fondi e demiurgo di nomine e carriere una certa euforia la può trasmettere. Così come essere continuamente scortato da una ressa di taccuini, microfoni e telecamere pronti a cogliere perfino un sospiro ministeriale per poi ricavarne magari un editoriale. Rinunciarvi da un giorno all’altro potrebbe non essere gradevole. Esprimere disinteresse per il potere nel momento in cui quel potere è messo in discussione può essere apprezzabile. Più utile alla collettività sarebbe piuttosto approfittare di un’esperienza nelle istituzioni per acquisire competenza e arricchire i propri saperi.
Per esempio: conoscere e approfondire i dossier, esprimersi con proprietà di linguaggio, contrapporre solidi argomenti alle altrui contestazioni. Terreno sul quale non sempre i Cinque Stelle hanno dato il meglio di sé, attirandosi le accuse di ignoranza e di inettitudine. Per questo riteniamo che il limite dei due mandati andrebbe esteso anche agli eletti del M5S di livello nazionale. Troncare il mandato parlamentare e di governo nel momento in cui la macchina pubblica non appare più un meccanismo misterioso (e quando l’esperienza di uno non è più uguale a quella di un altro) rappresenta solo una forma di ottuso egualitarismo, dannosa per la collettività.
Antonio Padellaro