Due milioni e 759 mila euro di danni per la Diaz. Dopo diciotto anni ai poliziotti condannati per il G8 di Genova viene presentato il conto. Per altri 5 milioni di danni all’immagine la richiesta è appesa a una pronuncia della Corte Costituzionale. Finora, scrivono i giudici della Corte dei Conti di Genova, dai documenti depositati dalle difese “è ragionevole ritenere che, allo stato degli atti, non un solo euro di risarcimento sia stato retrocesso” allo Stato.
È tutto scritto nelle 156 pagine della sentenza depositata il 12 marzo scorso. Una ricostruzione dei fatti, delle inchieste. Fino ad arrivare alla richiesta dei danni che chiama in causa pezzi grossi delle forze dell’ordine di allora e di oggi. Alcuni promossi ai vertici della Polizia dopo il loro ritorno in servizio successivo alla condanna. Parliamo, per esempio, di Gilberto Caldarozzi (condannato a 3 anni e 8 mesi per falso) che a fine 2017 è diventato numero due della Direzione investigativa antimafia. Carriere, quelle degli uomini citati nella sentenza della Corte dei Conti, che non avevano subito stop neanche durante i processi penali: Francesco Gratteri era diventato capo della Direzione centrale anticrimine; Giovanni Luperi capo-analista dell’Aisi (il servizio segreto interno). Filippo Ferri guidava la squadra mobile di Firenze; Fabio Ciccimarra era capo della squadra mobile de L’Aquila e Spartaco Mortola capo della polfer di Torino. Caldarozzi fu scelto come consulente da Finmeccanica, società statale presieduta all’epoca da Gianni De Gennaro.
“La Procura Regionale – è scritto nella sentenza – procede per un danno erariale di 8,139 milioni”. Il danno patrimoniale indiretto è “costituito dagli importi delle provvisionali assegnate, dalle spese legali liquidate dal giudice penale e dalle spese legali delle parti civili ammesse al patrocinio a spese dello Stato… per un totale di 3,139 milioni, di cui 2,2 liquidati dal ministero dell’Interno e 848 dal ministero della Giustizia”. La Corte ha riconosciuto il 70% del danno richiesto dalla Procura perché il restante 30% è attribuibile ai responsabili materiali delle violenze che non sono stati individuati.
Sono tanti i passaggi interessanti della sentenza. Per esempio dove la Corte dei Conti respinge la tesi spesso sbandierata dai condannati: cioè che alle amministrazioni interessate basterebbe la sentenza penale per chiedere i danni (cosa che non è stata fatta) senza ricorrere alla magistratura contabile.
Ma ci sono anche incisi durissimi su quello che avvenne a Genova nel luglio 2001: “Lunghe e laboriose indagini svolte dalla Procura di Genova confortata dagli esiti dibattimentali definitivi hanno accertato che l’irruzione decisa a tavolino, a cura degli appartenenti alla Polizia di Stato, si è tradotta in efferati e reiterati atti di violenza sulle persone” presenti alla Diaz, “che erano giunte a Genova per manifestare il loro dissenso”, quando la “manifestazione era già conclusa”.
E ci sono infine oltre dieci pagine che riassumono le terribili lesioni – anche permanenti – subìte da decine di manifestanti: fratture alle costole, polmoni collassati, commozioni cerebrali, manganellate nei genitali. Tanto che il giudice pronuncia quella parola che per tanti anni forze dell’ordine e mondo politico hanno taciuto: “tortura”. Nessuno degli esecutori materiali di quella “macelleria messicana”, come la definì il dirigente di polizia Michelangelo Fournier, ha pagato le sue colpe. Non basteranno i risarcimenti per lavare la vergogna della Diaz.