Imane Fadil è morta avvelenata. A ucciderla “un mix letale” di sostanze radioattive. Qualcuno se ne è accorto? Il primo marzo, dopo il decesso all’Humanitas di Rozzano, il fratello fa denuncia. Contro ignoti. Per questo interviene la Procura di Milano e chiede il sequestro delle cartelle cliniche e della salma. Imane non faceva uso di droghe, così almeno dimostrano i test del 26 febbraio scorso. La ragazza all’Humanitas ci arriva molte settimane prima. Il 29 gennaio. Non sta bene, anzi è in condizioni “gravi”. Secondo la Procura mostra evidenti sintomi da avvelenamento. Il protocollo sanitario, che in presa diretta avverte le autorità competenti per un’ipotesi di reato penale, non parte. Eppure già in quel momento, secondo le dichiarazioni del fratello e del suo legale, Imane è stata avvelenata. Se così fosse, i medici dell’Humanitas avrebbero dovuto far partire subito il protocollo sanitario. Protocollo che, a quanto risulta al Fatto, non è stato attivato. In sostanza la comunicazione non è arrivata né alla stazione dei carabinieri di Rozzano né alla compagnia di Corsico. E dunque cosa è accaduto? L’indagine coordinata dalla Squadra Mobile punta a questo, anche se parte con qualche giorno di ritardo visto che la denuncia della morte di Imane Fadil è arrivata in Procura solo una settimana fa e dunque poco più di otto giorni dal decesso avvenuto il primo marzo.
Il mancato avvio del protocollo sanitario risulta però incompatibile con il fatto che il 29 gennaio, secondo l’accusa, la ragazza arrivi in ospedale già in condizioni critiche e con sintomi da avvelenamento. Da quel momento Imane non si riprenderà più passando dalla terapia alla rianimazione, alla morte. C’è stata una mancanza dell’ospedale? “L’ospedale Humanitas – spiega un investigatore – ci avverte anche per un graffio”. Dal canto suo ieri la struttura sanitaria ha fatto sapere che dopo il decesso del primo marzo e dopo il sequestro delle cartelle cliniche e della salma, il successivo 6 marzo ha comunicato ai magistrati gli esiti dei risultati tossicologici. Nulla però viene detto rispetto al 29 gennaio, né la Procura fa cenno a questo particolare. L’intervento della magistratura, infatti, è scattato solo dopo che il fratello di Imane ha fatto denuncia contro ignoti. In quel momento si attiva la macchina giudiziaria. Viene poi spiegato che la ragazza è entrata in reparto già in condizioni gravi ed è stata presa in carico da una struttura multidisciplinare. Dunque per Humanitas tutto è stato fatto in modo corretto. Tradotto: il 29 gennaio Imane Fadil entra in ospedale, ma solo il 6 marzo, e cioè un mese e mezzo dopo, si saprà che a ucciderla sarà un veleno radioattivo. Ipotesi questa ancora tutta da valutare. Ora perché il protocollo non è stato attivato? Un’ipotesi, che andrà accertata, è che Imane una volta arrivata in ospedale non ha comunicato ai medici il rischio di un avvelenamento. Circostanza quantomeno strana, visto che anche in base alle dichiarazioni del fratello, la Procura di Milano sta procedendo per omicidio. Perché non dire del veleno? Di certo la ragazza in quel momento è in condizioni critiche. Difficile, poi, pensare a omissioni da parte dei dottori che sicuramente non avevano alcun vantaggio a coprire una cosa del genere con tutte le possibili conseguenze amministrative e penali.
Anzi, sembra più verosimile il contrario. Appare dunque credibile che la ragazza non abbia detto subito ai medici il suo timore di essere stata avvelenata. Certo restano le parole del procuratore Francesco Greco che ieri durante una breve conferenza stampa ha parlato di presunte anomalie nelle cartelle cliniche. Quali non è stato detto. L’ipotesi dell’avvelenamento, oltre che dal fratello, è stata sostenuta dall’avvocato Paolo Sevesi. In più, ieri in Procura è stato riferito che anche prima del ricovero la donna avrebbe presentato sintomi da avvelenamento, mal di pancia e gonfiore. Imane Fadil si è sentita male a casa di un amico. Qui viveva da qualche tempo, in un appartamento a Milano. Da qui è andata all’Humanitas. Come? Da sola o in ambulanza? L’archivio storico delle chiamate al 118 viene cancellato ogni due giorni. È chiaro, spiega un investigatore di un commissariato di polizia vicino a Rozzano, che se la donna si è sentita male in un altro posto, la comunicazione viene data alle autorità competenti per quel quartiere. Insomma, la morte di Fadil è un rebus difficilmente risolvibile in poco tempo. Un dato, oltre alla morte per avvelenamento, resta il fatto che il protocollo sanitario non è stato avviato.