Nell’abisso della propria coscienza la Chiesa ritrova le suore abusate, quelle fatte abortire, afflitte, condotte a una vita di servitù più che di preghiera. È merito di Lucetta Scaraffia, la storica e giornalista che dirige Donne Chiesa Mondo, l’inserto mensile dell’Osservatore Romano, se questo tema, nella sua scabrosità, è divenuto questione pubblica, scandalo pubblico.
“Ne parla il mondo intero. La cosa che più mi colpisce è invece l’incredibile silenzio della stampa italiana, questa assoluta e assai singolare distrazione attorno a un fenomeno così enorme e destabilizzante”.
Le suore serve, in molti casi costrette a soddisfare l’appetito (anche fuori della tavola) dei maschi, sacerdoti o addirittura vescovi.
È la condizione femminile nella Chiesa ad essere drammaticamente il cuore del problema. Per decenni questa prostrazione psicologica e fisica era coperta e negata, avvolta nel silenzio compassionevole delle gerarchie se non dall’omertà.
La Chiesa è come irretita da uno scandalo permanente. Non riesce a trovare una via d’uscita a una situazione che la obbliga a fare i conti con la propria coscienza, il proprio codice, se posso dire, la propria reputazione sociale.
Papa Francesco ha fatto tantissimo. Ricordo il suo ultimo appello al popolo di Dio affinchè sorvegli e corregga, denunci e proponga. Un appello al popolo, ai laici, non solo al ceto dirigente, alla gerarchia, è già esso un fatto rivoluzionario. E infatti l’appello non è stato accolto benissimo da chi vede nei laici una intrusione, da chi patisce indebite interferenze.
La novità, lei l’ha scritto, è che finalmente le suore sono riuscite a far denuncia, a dare scandalo, se così possiamo dire.
Sì, il fatto nuovo è che gli abusi ora hanno la forza di un atto d’accusa, di testimonianze circostanziate che impongono alla Chiesa provvedimenti esemplari e una discussione franca, aperta, sostenibile.
La Chiesa è stata sempre vittima del suo paternalismo, dell’omissione, della copertura
Pensi che questi episodi quando negli anni venivano riferiti erano rubricati alla voce “relazioni romantiche”, o incasellati nella vasta gamma della cosiddetta “trasgressione della castità”.
Invece qualcosa adesso finalmente si muove.
E questo dà fiducia, sapendo che siamo all’inizio
La Chiesa non ha mai sanzionato.
Non c’è giudice del Vaticano che condanni. I nomi dei vescovi e dei sacerdoti finora condannati sono stati i protagonisti di processi penali delle magistrature dei Paesi in cui i reati sono stati commessi. Nessun tribunale ecclesiastico ha dato prova di attenzioni particolari
Prima la pedopornografia, correlata o meno all’abuso sistematico sui minori, le decine di casi in cui uomini di Chiesa si sono abbandonati a comportamenti particolarmente odiosi e che purtroppo formano una catena storica che non sembra interrotta.
È così
Ora l’abisso delle prepotenze dentro i conventi.
Arrivare al punto di condannare pubblicamente l’aborto, definirlo reato, e poi farlo praticare alle proprie sorelle è un comportamento abietto, eticamente improponibile. È dentro questo reticolo di omissioni e ipocrisie gravissime che la Chiesa si dibatte.
Sono voci esili o isolate, come la sua. Sembra, purtroppo, che la Chiesa non riesca a far fronte alle proprie debolezze. Che persino il Papa faccia fatica a ritrovare nel dibattito interno un lume di verità e rigore. Lui chiede, ma ottiene?
Papa Francesco è subito divenuto un mito. E il nostro tempo consuma presto i miti. Resta incontrovertibile la sua enorme capacità di accettare la denuncia, di non nasconderla mai e anzi di farla divenire anche questione pubblica.
Resta intatta anche la resistenza della gerarchia.
Sì, e questo è un dato inconfutabile.
E questa resistenza, ora sorda ora urlata, indebolisce, fiacca lo spirito e anche la capacità espansiva del messaggio di Francesco.
Indubitabile che la sua forza abbia perduto smalto. Ma era nelle cose, c’era da aspettarselo.
Bisogna però dire che lei e il suo gruppo curate in assoluta libertà l’inserto. E che le vostre cronache sono riuscite ad aprire il varco alla denuncia, a inchiodare la Chiesa alle sue responsabilità.
È così. Aggiungo che l’idea dell’inserto, curato da un gruppo di donne credenti e non, fu portata direttamente all’attenzione del Papa. Era Benedetto XVI, un uomo di grande cultura che accettò senza fare una piega e dispose. Non sono così certa che le gerarchie avrebbero mostrato la medesima disponibilità. Anzi….
Anzi? Prosegua.
Ricordo i primi tempi, quando, incontrando i prelati, chiedevamo un’opinione su ciò che si pubblicava o soltanto una valutazione, ci rispondevano: “Sì, certo lo legge la mia cuoca”. Oppure “Ah, l’inserto che casca sempre quando apro il giornale”.