L’ultimo colpo grosso gli organizzatori del World congress of families l’hanno mancato per un soffio: non ci sarà tra i relatori Gian Carlo Blangiardo, il presidente dell’Istat che vorrebbe conteggiare nelle statistiche l’aborto come causa di mortalità infantile. La sua partecipazione è nata e tramontata nel giro di poche ore. “Ha rinunciato a partecipare – scrive l’Istituto di statistica – per evitare che una decisione personale fosse interpretata come una decisione del presidente dell’Istat”.
Ma l’assise scaligera, con tre ministri e direttori di giornali, rimane il momento della consacrazione per i movimenti della destra ultracattolica in Italia: mai erano arrivati così vicini alla stanza dei bottoni, mai erano riusciti a portare le loro proposte all’attenzione del Parlamento e dell’opinione pubblica.
Chissà se nel 2005, quando diede vita all’associazione Scienza&Vita per boicottare i referendum sulla legge 40, Massimo Gandolfini pensava di arrivare così lontano. Il neurochirurgo di Brescia secondo cui “le leggi sul divorzio e sull’aborto” hanno rovinato la famiglia, perché “hanno reso vulnerabile e fluido il rapporto fra uomo e donna”, e pensa che “alla base della condotta omosessuale ci possa essere un disagio d’identità”, è il demiurgo che ha dato forma e voce a un movimento in marcia da quasi 15 anni e che, senza mai diventare partito, oggi conta molto grazie alla Lega.
Ma la rete costruita sulle fondamenta dei movimenti anti-abortisti e che nell’ultimo decennio è cresciuta sposando la causa dei Family Day, è più vasta. Il comitato “Difendiamo i nostri figli” che ha organizzato le manifestazioni del 2015 e del 2016 contro la Cirinnà, ha come portavoce proprio Gandolfini e altri tre soci fondatori: Toni Brandi (vicino a Forza Nuova, volto storico dei movimenti anti-abortisti e sostenitore della possibilità di curare gli omosessuali), Jacopo Coghe e Simone Pillon. I primi due sono il presidente e il vicepresidente del World congress di Verona, il terzo è parlamentare leghista.
La storia della “scalata al cielo” di questo gruppo è stata raccontata da Sara Garbagnoli e Massimo Prearo in “La crociata anti-gender – dal Vaticano a Manif pour tous”: dal 2013 al 2016 Gandolfini, Gianfranco Amato (anche lui relatore a Verona) e alcuni altri organizzano un tour nelle parrocchie italiane in cui si propaganda l’idea che nel Paese sia in corso un grave attacco alla famiglia perpetrato attraverso la legge sulle unioni civili, la penalizzazione dei discorsi omofobici (mai approvata), l’educazione di genere nelle scuole.
Durante questi incontri, racconta il ricercatore universitario Massimo Prearo, l’invito alla mobilitazione è pressante: “Cosa direte ai vostri figli quando non si potrà più dire famiglia, quando gli omosessuali potranno comprarsi dei figli al mercato dei bambini e quando vi chiederanno ‘Papà, mamma, voi dove eravate?’”. Le piazze del Family Day si sono così riempite di persone e voti che Gandolfini, nel 2018, ha portato in dote al centrodestra con un invito esplicito a votare le loro liste, quella leghista in particolare, e ottenendo in cambio molto.
L’elezione di Pillon, innanzitutto, uno che ha detto di voler “introdurre in Italia il covenant marriage americano: una forma di matrimonio indissolubile” e che, nell’attesa, ha presentato un disegno di legge sugli affidi dei minori nei divorzi che penalizza il membro della coppia economicamente più debole (la donna nel 90% dei casi). Ma anche molto altro: la nomina a ministro di Lorenzo Fontana, veronese, già vicesindaco, considerato dal popolo del family day “uno di loro” (“perché le famiglie arcobaleno esistono?” ebbe a dichiarare), il ministro dell’Istruzione Marco Bussetti (anche lui a Verona), che ha reso più complicata l’organizzazione di attività extracurriculari sulla parità di genere. C’è poi il disegno di legge Stefani sull’aborto (tramontato, a quanto pare), le proposte per criminalizzare la gestazione per altri anche se praticata all’estero, la promessa di Salvini di stoppare l’adozione per i single. “Ma se vogliamo capire meglio cosa sta succedendo, io guarderei anche al mondo dei media” suggerisce Prearo, “perché per la prima volta questo movimento può appoggiarsi su organi di informazione che lo fanno esistere sulla scena pubblica”.
A Verona ci saranno, tra gli altri, la giornalista Maria Giovanna Maglie, il direttore del Giornale Alessandro Sallusti e quello della Verità Maurizio Belpietro, dove scrivono regolarmente sia Gandolfini che la scrittrice Silvana De Mari, condannata per diffamazione nei confronti delle persone gay. Gran tessitore del sodalizio è Stefano Lorenzetto: già autore del libro-intervista a Gandolfini L’Italia del Family Day per Marsilio (che pubblica anche Costanza Miriano, “Sposati e sii sottomessa”), è tra i fondatori del giornale di Belpietro. E, nemmeno a dirlo, veronese doc.