Pubblichiamo un estratto di “Perché No Tav” in vendita da oggi in edicola e in libreria
L’impresa non è mai stata delle più semplici: difendere, anzi nobilitare, anzi beatificare una “grande opera” tanto inutile quanto inquinante che scaverebbe un buco di quasi 60 chilometri nella montagna e un altro di svariati miliardi in quel che resta del bilancio dello Stato per far risparmiare un’oretta nel trasporto di merci prive di qualsivoglia fretta. Stiamo parlando del Tav Torino-Lione, concepito 29 anni fa, nel 1990, quand’era appena caduto il Muro di Berlino, al governo c’erano Giulio Andreotti e Paolo Cirino Pomicino e alle Ferrovie Lorenzo Necci, tutti puntualmente spazzati via da Tangentopoli o peggio da Mafiopoli. Un’altra èra geologica, quando i politici megalomani confondevano lo sviluppo con la Muraglia Cinese e la Piramide di Cheope. Poi sappiamo bene che cos’hanno lasciato di grande in eredità: il terzo debito pubblico del pianeta.
Eppure sono quasi trent’anni che la grande stampa asservita ai partiti asserviti ai costruttori si impegna allo spasimo in quella mission impossible. Nascondendo agli italiani che quei soldi buttati basterebbero per cablare l’intero Paese a 100 megabyte, o ripianare tutti i tagli alla cultura, alla ricerca, all’università e alle forze dell’ordine dell’ultimo decennio, perché ogni traversina del Tav è un banco di scuola, un girello di asilo nido, un posto letto di ospedale e di ospizio, un ricercatore, un poliziotto in meno. Il prezzo da pagare a questa gigantesca impostura, naturalmente, è quello di raccontare balle spaziali e di screditare vieppiù quel che resta dell’informazione in Italia. (…)
Il Tav Torino-Lione (anzi, “la Tav”, come lo chiamano i suoi trombettieri convinti, chissà perché, che l’articolo maschile a un acronimo maschile – Treno ad Alta Velocità – ne sminuirebbe la portata epocale) è divenuto così la palestra perfetta per sperimentare il pensiero unico del peggiore mainstream politico-affaristico-mediatico, con la criminalizzazione e la censura del dissenso. Prendiamo uno dei programmi più seguiti e longevi della Rai: Che tempo che fa, in onda dal 2003 (prima su Rai3 e poi su Rai1) e da sempre condotto da Fabio Fazio. Nasce 16 anni fa come un talk show costruito attorno alle previsioni del tempo, affidate al climatologo Luca Mercalli (tra gli autori di questo libro, ndr). Il quale spiega i fenomeni naturali e le loro conseguenze sempre più devastanti, dalla distruzione del territorio al consumo del suolo, a causa delle politiche anti-ambientali dei governi. Ed, essendo torinese ed esperto del Tav, ne critica spesso l’utilità.
Nel 2011 viene linciato da tre parlamentari del Pd, tutti esagitati Sì Tav che non possono tollerare il suo dissenso informato: Stefano Esposito, Giorgio Merlo ed Enrico Farinon, accusano Mercalli di leso “servizio pubblico” mediante “propaganda contro la Tav” e “uso militante della tv contro la Torino-Lione”. Tre anni dopo, bersagliato dalle campagne trasversali di Forza Italia e del Pd, Mercalli viene escluso dalla squadra di Che tempo che fa. Nel 2015 ha un piccolo programma su Rai3, Scala Mercalli, ma dura meno di un anno: nel 2016 la direttrice turborenziana della rete, Daria Bignardi, già artefice della cacciata di Massimo Giannini e dell’abolizione di Ballarò, glielo chiude senza tante spiegazioni. Il pensiero unico ha sempre ammesso, sul tema, soltanto la posizione Sì Tav: il No è una bestemmia, un sinonimo – se non di eversione – almeno di ignoranza, di “decrescita”, di scarsa propensione al progresso e alla scienza. E pazienza se i maggiori esperti indipendenti di infrastrutture hanno sempre sostenuto, dati alla mano, l’inutilità anzi la perniciosità anzi l’assurdità del Torino-Lione. (…)
La propaganda terroristica del partito-ammucchiata Calce&Trivello, che affratella la “sinistra” di scuola Marchionne (il Pd dei Chiamparini e dei Fassini), FI, Lega, triade sindacale, Confindustria, coop biancorosse lobby e cricche varie inizia a vaneggiare di fantomatiche “penali” da pagare e di miliardi (due, o forse tre) da restituire non si sa bene a chi, nonché di un “referendum” da lanciare contro “l’isolamento del Nord-Ovest”, di un “rischio Brexit per l’Italia”. Tutte scemenze rilanciate dalla grande stampa (…). Resta comunque inspiegabile – al netto di eventuali mazzette – quest’ossessione unanime, fanatica, ideologica se non addirittura religiosa, tipica di certe sètte estremiste, per quel gigantesco pertugio nella montagna. Alcuni psicanalisti, di fronte a certi grattacieli e ad altri ecomostri fallici che deturpano le città, parlano di invidia del pene. Per gli adepti della Banda del Buco, non c’è altra spiegazione che l’invidia dell’ano.