Laura, Giulia e le altre hanno gli occhi esausti di chi non dorme da giorni, e l’emozione di chi è partito da lontano. C’erano quando non c’era nessuno. In tribuna, vestite da ancelle, quando a ottobre scorso la Lega ha fatto passare la mozione contro l’aborto in Consiglio comunale: con la loro foto pubblicata su Facebook hanno fatto un pezzo di storia. E c’erano il sabato successivo, in piazza, per il primo grande corteo femminista a Verona. C’erano e ci sono oggi, cinque mesi dopo, sempre a Verona, per la prima reazione di massa – con attiviste che arrivano da ogni parte d’Italia e dall’estero, dalla Polonia all’Argentina – al World Congress of Families, l’evento che per la prima volta nella sua storia viene ospitato in Italia. Hanno aperto i lavori della mobilitazione transfemminista di “Non una di meno”: una tre giorni di incontri e dibattiti che culminerà nel corteo di oggi, dove sono attese migliaia di persone.
Loro, le “femministe”, Laura e Giulia tra tante, protestano da prima che se ne accorgesse la politica, da prima che arrivassero media e televisioni da tutto il mondo. Con banchetti e assemblee, quando la città sembrava un’enclave dell’estrema destra e niente più. “La nostra è soprattutto una sfida politica”, racconta Laura. “Abbiamo scelto di usare la parola transfemminismo per indicare la volontà di andare oltre i confini geografici e la definizione di donna biologica. Per noi si parla di femminismi al plurale: ci rivolgiamo a tutti coloro che sono oppressi”.
Una marea fucsia. Sfileranno tutti insieme oggi, dentro il cuore della città e a pochi passi dal Palazzo della Gran Guardia, là dove si stanno confrontando politici e rappresentanti religiosi in difesa di quella che, per loro, è la “famiglia tradizionale”. Non una folla guidata da facce note, ma un gruppo che rivendica le sue diversità e si riprende uno spazio. Parteciperanno esponenti di varie realtà, da Libera a i Sentinelli di Milano ad Arcigay e Arcilesbica, ma pure Pd e Cgil. Vietati i manifesti con sigle politiche, saranno ammessi solo messaggi di contenuto. Volutamente non sono state chieste adesioni ufficiali, anche se qualche esponente politico si farà vedere, Laura Boldrini (Leu) e Monica Cirinnà (Pd) per esempio.
Oggi il corteo, domani l’assemblea “transnazionale”
Dall’Argentina domenica arriverà Marta Dillon, nota per aver fondato in patria “Ni una menos” nel 2015. Ci sarà Klementyna Suchanow, attivista per lo sciopero delle donne in Polonia. Risponde al telefono, mentre sta per salire sull’aereo: “Quello che vogliono fare alle donne italiane ed europee l’hanno già fatto a noi. Le donne che difendono i loro diritti sono la prima linea di una guerra in corso. Ci vediamo a Verona: è lì che bisogna essere”. In Polonia, solo un anno fa, il Parlamento ha tentato di far approvare una legge ancora più restrittiva sull’aborto. “Vedo molte somiglianze tra il mio governo e il vostro”, prosegue Klementyna. “Non solo c’è l’identità conservatrice, ma anche il tentativo di stabilire una collaborazione fascista per entrare nel Parlamento Ue e cambiarlo sulla base delle loro idee. E chi non ci assicura che, dietro la scena, a muoversi sia il Cremlino…”.
Per le strade di Verona ci sarà anche Marinella Matejcic, militante dell’organizzazione croata Pariter. Lei e le sue compagne, circa una decina, sono partite ieri dalla Croazia: “Dobbiamo lavorare duramente per impedire ai gruppi pro-life di spingere la loro agenda a livello politico. Da noi abbiamo un problema serio con l’obiezione di coscienza. Il ministro della Salute ha dichiarato: ‘Meglio un prete che dieci dottori’”.
Da laboratorio delle destre a quello rosa: la città scaligera
Verona non è una città qualunque. È la terra ricca dove estremisti e Chiesa dialogano da sempre, ma è anche – per paradosso, o per contrasto – la culla dove è nata la filosofia del femminismo della differenza. Non solo. Il dipartimento di Scienze umane e filosofia di Verona ha promosso in questi giorni un documento in cui, prendendo le distanze dalle tesi sostenute al Wcf, si chiedono chiarimenti sulla presenza del ministro dell’Istruzione leghista Marco Bussetti. Al grido di “A rischio la ricerca laica e libera”, il documento è stato sottoscritto da più di 700 tra docenti, ricercatori e personale amministrativo dell’Università.
“Non una di meno” e le sue attiviste sono cresciute in questo ambiente, fatto di contraddizioni e spinte in direzioni opposte. “La nostra città è da sempre un laboratorio per le destre”, spiega Laura. “Solo che non hanno più solo l’appoggio nel mondo cattolico. Ora sono al governo”. È veronese doc il ministro della Famiglia Lorenzo Fontana: ha dato lui il patrocinio alla manifestazione, ed è riuscito a portare sul palco Matteo Salvini. “Siamo di fronte a una veronesizzazione della politica. E noi conosciamo il rischio. Qui si studiano proposte di legge e atti concreti. Anche per questo abbiamo scelto di rispondere elaborando nostri contenuti”. C’è una sola sigla che compare apertamente nel programma: quella dell’Anpi. “Noi siamo femministe, ma anche profondamente antifasciste. In questa città è una battaglia difficile… Per il resto, non vogliamo gente che venga a mettere il cappello, o a farsi fotografare per i giornali”, dice Laura (politici avvertiti). “Da noi ogni decisione è condivisa. Per questa tre giorni abbiamo fatto infinite assemblee e skypecall internazionali”. Ora tutto sta nel riuscire a convogliare le energie, evitando “contaminazioni” e strumentalizzazioni.
Ieri, ricercatrici da Berlino, Belgrado, Varsavia e Parigi, hanno tenuto un panel di discussione sul “ruolo del gender nella mobilitazione delle destre”. Un altro, sulle prospettive di rivoluzione e solidarietà per il movimento femminista. La piazza di Verona oggi, sono convinte, sarà un passaggio, una tappa. Ma come ha detto Porpora Marcasciano, storica militante per i diritti delle persone trans: “La liberazione è un processo continuo”. E qui nessuna ha intenzione di fermarsi.