I prezzi dei carburanti a marzo hanno segnato un aumento del 2,7% su base annua, tornando a salire dopo il calo di febbraio (-0,5%). Secondo l’Istat, che ha rilevato le stime, il dato tendenziale dello scorso mese è il più alto da novembre del 2018 (+8,4%). Nel dettaglio, il diesel è salito del 2,6% su febbraio e del 5,3% sul 2018 (da +1,7%), mentre la benzina è aumentata del 2,4% rispetto al mese precedente con un’inversione di tendenza su base annua: da -3,0% a +0,3%. Ma le brutte notizie per gli automobilisti non finiscono qui: anche ad aprile ci sono tutte le condizioni per un ulteriore aumento dei listini. “I prezzi dei carburanti dovrebbero registrare un aumento nei prossimi giorni”, denuncia Bruno Bearzi, il presidente di Figisc (la Confindustria dei gestori degli impianti). “A meno di drastiche variazioni in più o in meno delle quotazioni internazionali o del tasso di cambio euro/dollaro – prosegue – ci sono plausibili presupposti per una aspettativa di prezzi tendenzialmente ancora in aumento durante questa settimana con scostamenti almeno di 0,5 centesimi/litro in più”.
Secondo l’elaborazione di Quotidiano Energia sui prezzi comunicati dai gestori all’Osservaprezzi carburanti del minisero dello Sviluppo economico, il prezzo medio praticato in modalità self-service della benzina è pari a 1,585 euro/litro, con i diversi marchi che vanno da 1,579 a 1,602 euro/litro, mentre per quanto riguarda il diesel il prezzo medio praticato è di 1,493 euro/litro, con le compagnie che oscillano da 1,494 a 1,508 euro/litro. L’unico modo per risparmiare qualcosa è rivolgersi ai gestori no-logo, le cosiddette pompe bianche, che offrono la benzina al prezzo medio di 1,472 euro/litro e il diesel a 1,561 euro/litro. Prezzi ancora maggiori, invece, in modalità servito con la verde che tocca una media di 1,716 euro/litro, con gli impianti che partono da un minimo di 1,670 a un massimo di 1,796 euro/litro (no-logo a 1,608), mentre per il diesel la media è a 1,628 euro/litro, con i punti vendita delle compagnie tra 1,607 a 1,713 euro/litro (no-logo a 1,519). Il meccanismo che si è realizzato è chiaro: inizia una compagnia a ritoccare il listino e tutte le altre si adeguano.
Il prezzo dei carburanti, come spiegano la Figisc, sta aumentando perché è il prezzo a livello internazionale a salire a causa della corsa del petrolio che ha raggiunto i massimi dell’anno, sfiorando i 70 dollari al barile. Ma anche se questo rialzo si interrompesse, in Italia difficilmente un automobilista se ne accorgerebbe subito, visto che quando sale il costo del petrolio, quello della benzina schizza. Mentre quando scende il prezzo del petrolio, quello della benzina si adegua troppo lentamente. Anche se a incidere davvero parecchio in Italia sul costo finale sono le accise, un’imposta fissa da 0,7284 euro al litro sulla benzina e da 0,6174 sul gasolio. Introdotte nel corso dei decenni per finanziare guerre ormai archiviate nei libri di storia, disastri o ricostruzioni post calamità naturali – se ne contano 20 dal 1935 al 2014 – le accise sono state riunificate dal decreto Dini del 1995, mentre la legge di Stabilità del 2013 le ha reso strutturali insieme al Fondo dello spettacolo, la crisi libica, le alluvioni di Liguria e Toscana, il decreto Salva Italia, il terremoto Emilia e l’emergenza Abruzzo.
Così, millesimi su millesimi, le accise sulla benzina nel 2017 hanno garantito introiti per le casse dello Stato per 26,7 miliardi. Per rendere l’idea le accise valgono 14 volte e mezzo il canone Rai e, ad oggi, rappresentano circa il 60% di quanto paghiamo al distributore ogni volta che facciamo rifornimento, compresa l’Iva al 22%. Una forte incidenza che, anche se gli italiani non conoscono, alla fine è stata sempre subita senza particolari rimostranze, perché da sempre è così. I carburanti sono stati oggetto di rincari da parte di tutti i governi – così come si fa cassa facilmente con i giochi o con i tabacchi – rendendo complicato ai politici intervenire con tagli, che comporterebbero riduzioni di gettito difficilmente compensabili.
Anche nel contratto di governo gialloverde era stato previsto di “eliminare le componenti anacronistiche delle accise sulla benzina”, così come le aveva chiamate Matteo Salvini lo scorso settembre ipotizzando prima uno sconto di 20 centesimi e poi auspicando un’imminente diminuzione di 11,3 centesimi al litro, che si sarebbe tradotta in oltre 4 miliardi in meno di introiti per l’erario, Iva esclusa. Ma la sforbiciata non si è mai realizzata. E la Lega ora si è data tempo fino al 2020 per abbassare i prezzi alla pompa e mettere fine all’automatismo che prevede gli scatti ogni anno. Intanto la legge di Stabilità ha previsto addirittura un possibile aumento delle accise a partire dal 2020 in caso di mancata sterilizzazione delle clausole di salvaguardia che valgono 24 miliardi di euro: serviranno 400 milioni di euro per evitare l’aumento.