Ci risiamo. Si riparla del Def e si risentono le solite supercazzole sul taglio delle tasse (impossibile), il recupero dell’evasione (le solite briciole), la spending review (buonanotte), la vendita degli immobili dello Stato (ciao core), altri condoni travestiti da “rottamazione delle cartelle”, stavolta per le tasse comunali (quattro spicci). Sarebbe ora di piantarla e parlare una volta per tutte di cose serie. Magari dopo l’ennesima campagna elettorale che inquina tutto il dibattito a colpi di propaganda: la Flat tax (Salvini), la riduzione delle aliquote per il ceto medio (Di Maio), il no alla patrimoniale (Salvini, Di Maio e Zingaretti).
Quando si sarà votato per le Europee, chi vuol fare politica seriamente e smetterla di prendere in giro i cittadini dovrà dire la verità: e cioè che la Flat tax, intesa come aliquota unica per tutti è incostituzionale, perché contraddice il principio di progressività fissato dalla Costituzione; una patrimoniale sulle grandi ricchezze è doverosa, a cominciare dal ripristino della tassa comunale sugli immobili oltre un certo valore (previa riforma del catasto); la riduzione delle aliquote, se equa, è non solo auspicabile, ma sacrosanta, visto il carico fiscale insopportabile che grava su chi le tasse le paga anche al posto di chi non le paga.
Ma dev’essere “coperta” finanziariamente: per evitare di scavare altre voragini nel bilancio dello Stato, che produrrebbero la chiusura di scuole, asili, caserme, ospedali e altri servizi pubblici, prima bisogna metter mano drasticamente ai reati fiscali. Due mesi fa, il ministro della Giustizia Bonafede dichiarò al Fatto che intendeva riformarli, come da Contratto, iniziando a smantellare le soglie di impunità inventate dal centrosinistra negli anni 90 e alzate dal governo Renzi. Di Maio appoggiò il Guardasigilli, mentre da Lega, FI e associazioni avvocatesche si levarono i soliti gridolini di dolore. Poi non se ne seppe più nulla.
Come sempre, si parla di questa materia come se riguardasse magistrati, avvocati e imputati: “garantisti” di qua, “giustizialisti” di là, polemiche sui presunti “scontri fra giustizia e politica”. Invece la questione riguarda le tasche di tutti noi cittadini e anche qualcosa di più nobile: il principio di eguaglianza fissato dall’articolo 3 della Costituzione. Che da tempo immemorabile viene sistematicamente violato per legge: oltre 10 milioni di evasori beneficiano dei diritti civili e dei servizi pubblici pagati da 30 milioni di contribuenti fedeli, in gran parte lavoratori dipendenti e pensionati. Chi non paga le tasse o ne paga meno del dovuto vota come chi le paga fino all’ultimo cent.
E utilizza scuole, asili, ospedali, caserme, strade, aeroporti, ferrovie, autobus e tutti gli strumenti e le agevolazioni del Welfare anche se non vi ha contribuito. Come se fosse un cittadino modello, anziché un ladro parassita che andrebbe escluso da ogni diritto e servizio. Si confonde nella massa, perché nessuno lo smaschera. Se il sedicente “governo del cambiamento”, con tutti i suoi errori, contraddizioni e omissioni, ha ancora un senso, è proprio per farla finita con questo scandalo. Altrimenti, meglio che defunga.
Come si volta pagina? Tracciando una linea retta e netta tra chi fa il suo dovere e ne paga le conseguenze, e chi fa i suoi porci comodi e non paga mai pegno. Oggi, grazie alle insormontabili soglie di non punibilità made in Renzi, chi volesse finire in galera per reati fiscali non ci riuscirebbe nemmeno se si impegnasse. Non commette reato né di evasione né di frode, dunque sfugge al controllo della magistratura, chi non versa ritenute fino a 150 mila euro (prima era 50 mila); chi evade l’Iva fino a 250 mila euro (prima era 50 mila); chi presenta una dichiarazione dei redditi infedele fino a 150 mila euro (prima era 50 mila) o una dichiarazione fraudolenta occultando redditi fino a 1,5 milioni (prima era 1 milione); chi omette del tutto di dichiarare redditi fino a 50 mila euro (prima era 30 mila). Uno schifo addirittura peggiore del sistema introdotto dall’ultimo governo B., in cui Tremonti – complice la crisi mondiale – aveva un po’ abbassato alcune soglie di impunità targate centrosinistra. Una vergogna che da tre anni costringe le Procure che avevano avviato migliaia di indagini e sequestri di beni in base alle vecchie soglie ad archiviare e a restituire il maltolto ai ladri non più punibili.
Queste soglie, di per sé criminogene, diventano un’istigazione a delinquere per chiunque compari i vantaggi (abnormi) e i rischi (irrisori) dei reati fiscali. Infatti intere categorie di lavoratori autonomi risultano guadagnare meno dei loro dipendenti. E l’Italia detiene il record europeo dell’evasione: dai 120 ai 150 miliardi all’anno. Un enorme serbatoio di nero che però, per un vero “governo del cambiamento” potrebbe diventare un’opportunità: basterebbe garantire pene certe anche per gli evasori, come si è fatto con la Spazzacorrotti per i reati contro la Pa, per recuperare subito, a costo zero, una parte del maltolto. Puntando sull’unico fattore deterrente che funzioni sui colletti bianchi: la paura della galera. Se l’evasione scendesse anche solo del 20%, il governo si ritroverebbe in cassa un tesoretto di 24-30 miliardi l’anno da redistribuire ai contribuenti fedeli. E, allora sì, potrebbe ridurre le tasse a cittadini e imprese.
Quindi Tria, o chi per esso, può pure provare a recuperare qualche miliardino con spending review, condoni, alienazioni del patrimonio e altri pannicelli caldi già storicamente falliti. Ma il vero Def e la vera manovra finanziaria deve farli Bonafede, con una legge Spazzaevasori. Se i 5Stelle vogliono differenziarsi dalla Lega e sfidare il Pd a fare qualcosa, se non di sinistra, almeno di giusto, la strada è quella. Tutto il resto è noia. E chiacchiera.