Il giorno in cui la Procura di Milano decide di annunciare che Imane Fadil è morta, Marysthell Polanco è sotto interrogatorio. È venerdì 15 marzo. Imane è morta da due settimane, il procuratore Francesco Greco non è ancora andato davanti alle telecamere a dare la notizia e comunicare di aver aperto un’indagine per omicidio. I pm del processo Ruby 3, Tiziana Siciliano e Luca Gaglio, hanno convocato Marysthell Polanco per chiederle dei soldi ricevuti da Silvio Berlusconi per raccontare ai giudici che quelle di Arcore, nell’estate del 2010, erano “cene eleganti”, magari giusto con qualche spettacolino di “burlesque”. I due pm sanno che all’alba del 1° marzo Imane, una delle poche partecipanti alle feste che non ha accettato denaro per mentire, è spirata all’ospedale Humanitas di Rozzano, consumata da una misteriosa malattia, o forse mangiata da un ancor più misterioso avvelenamento. Buttano lì la notizia, ancora inedita, a Marysthell. “Lo sa, signora Polanco, che Imane Fadil è morta in ospedale?”. La reazione, immediata, è un urlo: “No! Il polonio!”.
I due pm restano di ghiaccio. “Lo sapevo che dobbiamo stare attente”, balbetta, terrorizzata, Marysthell. “Mi hanno detto che ci sono veleni che ti possono uccidere senza che tu ti accorga…”. Polanco non pensa a Berlusconi, ma al vecchio amico di B., Vladimir Putin. Solo suggestioni o qualche ragazza del bunga-bunga potrebbe aver visto o saputo cose che riguardano il presidente russo e che non avrebbe dovuto né vedere, né sapere? L’assistente manager di Marysthell Polanco, contattata dal Fatto Quotidiano, è categorica. “Qui non stiamo parlando di rispondere alla domanda: ‘Di che colore era l’abito che quella ragazza indossava’; stiamo parlando di altro. Finché le cose non saranno più definite, più calme e tranquille, non possiamo fare alcun tipo di dichiarazione. Il nostro avvocato ci ha chiesto di attenerci al silenzio. E così faremo. Se dico ‘Non si può’, è perché so perché non si può”.
Con l’urlo di Marysthell Polanco che ancora echeggia nei corridoi del Palazzo di giustizia, nel pomeriggio di quel 15 marzo il procuratore Francesco Greco inizia la conferenza stampa in cui comunica che Imane è morta due settimane prima, che la sua cartella clinica non indica la causa del decesso, che aveva sintomi compatibili con l’avvelenamento, che la Procura indaga in tutte le direzioni, compreso l’omicidio volontario. Le preoccupazioni del procuratore derivano da un esame del sangue (prelievo del 27 febbraio, esiti consegnati solo il 6 marzo) che segnala la presenza di metalli pesanti in concentrazioni superiori alla media, anche se non letali. E soprattutto da un test i cui risultati sono comunicati alla Procura il 12 marzo, tre giorni prima della conferenza stampa, e che ha individuato “tracce di raggi alfa” nelle urine della ragazza.
Ora è passato un mese da quel giorno teso. Il clima pare essersi rasserenato, per tutti tranne che per la famiglia di Imane. La madre, la sorella Fatima, i fratelli Sam, Tarik e Mounir attendono in silenzio, come richiesto dalla Procura. Ma a 40 giorni dalla morte di Imane sono ancora senza risposte. I primi risultati degli esami autoptici, attesi una settimana fa, non ci sono ancora. I familiari passano le giornate a interrogarsi, in preda a ipotesi e suggestioni. Confidano nella magistratura e nei loro due nuovi legali, Mirko Mazzali e Nicola Quatrano, ma temono che non si riesca ad arrivare alla definizione di una causa certa per la morte di Imane.
Oggi l’ipotesi più probabile è che la ragazza sia morta per una malattia non ancora individuata che le ha intaccato il midollo spinale. Sappiamo che gli esami preparatori all’autopsia, con analisi sui campioni prelevati il 20 marzo da reni e fegato, hanno escluso la radioattività da raggi gamma e alfa (quelli che nel 2006 hanno ucciso l’ex spia russa Aleksandr Litvinenko, distrutto dal polonio 210 che aveva ingerito bevendo una tazza di tè).
Ma, in attesa degli esiti medici, restano aperte alcune domande. Perché l’Istituto di fisica dell’Università Statale il 12 marzo ha rilevato tracce di raggi alfa nelle urine di Imane? E perché quelle tracce non ci sono invece negli “organi-filtro”, fegato e reni? La contaminazione è forse avvenuta non nella fase di formazione, ma di espulsione delle urine? E perché Marysthell Polanco, appena saputo della morte di Fadil, ha lanciato quell’urlo: “Polonio!”? Per diradare le ombre nerissime della congiura internazionale, la Procura sta battendo tutte le piste e sta verificando anche la provenienza delle sacche di sangue utilizzato per le molte trasfusioni fatte a Imane durante il ricovero all’Humanitas: se l’avvelenamento provenisse da lì?