L’ironia della sorte è quella cosa che fa sì che tu nasca sotto il segno della post-ideologia, che attorno a essa tu fondi la tua ragion d’essere politica, che sotto la sua egida tu ti trovi a raccogliere un popolo dalle istanze plurali e financo eterogenee che neppur troppo di rado finiscono per cozzare tra loro, che in sua difesa ti sobbarchi critiche di ambiguità, di doppiezza, di agnosticismo politico e morale. Critiche che ti valgono il sospetto, quando non il disprezzo di quelli che “sempre e per sempre dalla stessa parte li troverai”. Poi, un bel giorno d’aprile, dopo quasi un anno di salto a ostacoli al governo e a un pugno di settimane dalle elezioni europee, devi ritrovarti a capire che se c’è qualcosa che può salvarti, quello è proprio l’ideologia.
Stiamo parlando dei 5Stelle e vogliamo sgombrare subito il campo da equivoci: l’ideologia e anche la tradizione sono per loro natura mutevoli e capaci d’integrare le sollecitazioni che la Storia offre. E proprio in quest’attitudine ad adattarsi al tempo senza per questo negare se stesse consiste il segreto della loro sostanza imperitura. L’ideologia non è né più né meno che lo scheletro sul quale si tiene un corpo sociale, un corpo i cui muscoli, organi, tessuti potranno poi variare in base alle contingenze. È bene chiarirlo per tutti coloro che, al solo suono della parola ‘ideologia’, sono subito pavlovianamente sopraffatti dall’odore di naftalina.
Tornando a noi, il destino beffardo ha fatto sì che, dopo dieci mesi di alleanza di governo, o più correttamente di lotta nel fango con gli “amici della Lega”, i survivor dei 5Stelle siano giunti alla conclusione che, se la sinistra è morta e la destra è morta, beh anche loro non si sentono tanto bene. Intanto il loro partner Salvini, da buon orecchiante, ripete il ritornello che “le ideologie sono morte” ogni qualvolta gli serva per smorzare qualche polemica relativa alle sue frequentazioni, ma poi si tiene ben stretto il proprio scheletro ideologico di estrema destra.
Così i pentastellati, con un occhio ai sondaggi e uno all’alleato-non alleato, sembrano essere arrivati alla conclusione che dotarsi di una “struttura ossea”, se non ideologica, sia inevitabile se si vuole sopravvivere nel mondo politico. Rivendicano i diritti civili (e sociali) come tratto irrinunciabile di una società degna di questo nome. Si dicono preoccupati, con Di Maio, per “questa deriva di ultradestra a livello europeo con forze politiche che faranno parte del gruppo con cui si alleerà la Lega, che addirittura, in alcuni casi, negano l’Olocausto”. Sottolineano l’irrazionalità di stringere intese con Paesi che non accettano la redistribuzione per quote dei migranti lasciandoci soli con la nostra emergenza. Impongono l’alt alla facilitazione dell’acquisto di armi per difesa personale e alle derive demenziali sulla castrazione chimica. E subordinano l’abbassamento della pressione fiscale al carattere “progressivo”, dunque costituzionale, della eventuale riforma tributaria spacciata per Flat Tax.
Bisogna anche dire che, sia pur camuffati dal mantra post-ideologico, provvedimenti come il reddito di cittadinanza e il decreto dignità, facevano già parte di quella spina dorsale che adesso, alla vigilia del voto europeo, viene dipinta come trovata elettorale. E non c’è dubbio che a istanze tradizionalmente “di sinistra” è riconducibile il senso originario delle cinque stelle che oltre 10 anni fa battezzarono l’embrione del Movimento: la tutela dell’acqua pubblica, della mobilità sostenibile, dello sviluppo, della connettività e dell’ambiente.
Ora ci si può indignare, come fanno in molti, per un’ideologia last minute, considerata meramente strumentale; oppure si può sperare, quali che ne siano i moventi, che il corpaccione pentastellato smetta una volta per tutte di dichiararsi invertebrato e tiri fuori la spina dorsale.