Se, come diceva Hegel, il giornale è la preghiera del mattino dell’uomo moderno, con Massimo Bordin se ne va il suo sacerdote. La voce “più importante, più autorevole e più bella di Radio Radicale”, come ha annunciato ieri pomeriggio Alessio Falconio, direttore dell’emittente fondata da Marco Pannella, è morto a 67 anni per una malattia che lo aveva colpito da tempo e su cui ha voluto mantenere il massimo riserbo. “È una notizia che non avremmo voluto dare e che diamo con immenso dolore” ha detto Falconio che Bordin lo ha conosciuto come direttore, avendo Massimo guidato la Radio dal 1991 al 2010.
Tutto il mondo politico e giornalistico si è genuflesso e abbeverato alla sua Stampa&Regime, la rassegna dei giornali su cui fondare la propria agenda quotidiana. La quantità e qualità di dichiarazioni di cordoglio, di affetto e di sgomento che ieri affollavano le agenzie, e che hanno portato il suo nome a essere trend topic di Twitter, e che sarebbe impossibile riassumere, lo dimostra.
Voce inimitabile del primo mattino in grado di rintracciare nella lettura dei quotidiani un filo conduttore anche nelle giornate più scialbe, evidenziando sfumature e particolari poco noti ai più, ingaggiando polemiche e ragionamenti di profilo altissimo e culturalmente irresistibili. Con questo giornale aveva un contenzioso da tempo, lui figura radicale del garantismo giudiziario non tollerava soprattutto la ricostruzione da noi fatta della “trattativa” Stato-mafia.
Ma leggendo cronache o commenti di cui non condivideva nemmeno una riga, nella voglia di ingaggiare un conflitto, a volte anche durissimo, si intravedeva comunque una passione immarcescibile. Perché Bordin era un giornalista a tutto tondo e, soprattutto, era davvero colto, dotato di una cultura politica di altri tempi, la cui mancanza nel dibattito politico parlamentare e partitico oggi si misura a vagonate.
Lui che negli anni della gioventù si era formato tra i trotzkisti della Quarta internazionale alle lezioni di Livio Maitan (frequentata anche da chi scrive) per cui nutriva stima e affetto anche dopo decenni, quando invece era diventato un liberale radicale.
Come ebbe a dire a Francesco Merlo in un recente ritratto scritto da questi per il Venerdì di Repubblica “Mi impegnavo anche con i libroni, ho letto persino Pietro Secchia. E collaboravo con Praxis, la rivista di Mario Mineo (padre di Corradino, ndr), roba per palati fini. La letteratura invece non aveva gran seguito e ancora oggi, che pure la amo, preferisco la saggistica”.
Poi l’incontro e la fascinazione con Marco Pannella. Non prima di aver frequentato Radio Città Futura diretta da Renzo Rossellini, radio del Movimento del ’77, e da lì passare a Radio Radicale con Pannella e tutti gli altri. Convinto garantista, liberale, libertario, nonviolento (tutto attaccato), salveminiano, einaudiano nel dogma del “conoscere per deliberare” che è lo slogan di Radio Radicale, e, ancora, filo-israeliano, sciasciano convinto, fino all’avversione per i “professionisti dell’antimafia”, simpatizzante per un socialismo liberale che non è solo storia del Psi ma anche figure dell’ex Pci come Emanuele Macaluso e Giorgio Napolitano (che non a caso ieri lo compiange). Bordin era tutto questo.
Con Pannella dà vita a una serie lunghissima di interviste nei pomeriggi un po’ assonnati della radio, verso le 17,30, che diventano un fenomeno cult, pieni di verbosi interventi del leader radicale e di contrappunti ragionati e scanzonati dell’ottimo conduttore. Poi, a un certo punto, si passa a scontri aperti, a battibecchi che degenerano quasi in insulti, pugni sbattuti e fogli spostati dal tavolo. Il fattoquotidiano.it ha realizzato una seguitissima clip di siparietti che hanno fatto un pezzo di storia radicale.
E oltre alla rassegna stampa c’erano le rubriche su Israele con Fiamma Nirenstein e quella sugli Stati Uniti con Giovanna Pajetta. E un’altra sua creatura, decisiva, lo Speciale Giustizia con la trasmissione di interi brani di processi rilevanti, riassunti e commentati con innegabile perizia.
Un professionista dell’informazione, un politico, un uomo di cultura, una figura rara, la cui scomparsa getta un’altra manciata di oscurità su questi tempi cupi.