C’è stato un grido di delusione nelle ultime ore, che si è trasformato in frastuono e ha generato l’idea che il Reddito di cittadinanza introdotto dal governo gialloverde assomigli più ai bonus di renziana memoria che a un reddito degno di questo nome: è quello delle famiglie povere che hanno ricevuto i cosiddetti “spiccioli di cittadinanza”, ovvero 40 euro o poco più. Parliamo di 35mila casi, il 7% delle 472mila domande accolte, che sommati ai nuclei che restano sotto i 100 euro, arrivano a 50mila (13,1%). I dati dell’Inps mostrano un quadro completo. Il 71% delle carte acquisti che stanno per essere distribuite conterranno più di 300 euro. A superare i mille euro, per il momento sono poco meno di 26mila. La fascia più corposa è quella di chi si è aggiudicato tra i 300 e i 500 euro, la quale conta 138mila famiglie.
Alla prova dei numeri, il reddito di cittadinanza ha svelato la sua natura, che pure avrebbe dovuto essere chiara dall’inizio. Non è uno stipendio da 780 euro mensili distribuito a tutti i disoccupati del Paese, ma solo un’integrazione al reddito di chi vive in grosse difficoltà economiche per aiutare a raggiungere uno standard di vita dignitoso. Era quindi scontato che qualcuno, disponendo già di qualche provento, avrebbe preso poche decine di euro e che in pochi avrebbero raggiunto l’assegno pieno.
I 780 euro al mese, infatti, può prenderli solo chi vive da solo, ha un reddito pari a zero ed è in affitto. Il reddito è composto da 500 euro di sostegno base più 280 per la casa. Se però ci sono altri familiari, si applica la scala di equivalenza. Cioè si aggiungono 200 euro per ogni familiare maggiorenne e 100 euro per ogni minorenne. Quindi una famiglia con marito e moglie e due figli può prendere massimo 1.180 euro. Per calcolare il reddito che prenderà, bisogna sottrarre a questa cifra massima i redditi dei quali la famiglia già oggi dispone. Se per esempio ammontano a 500 euro al mese, il reddito di cittadinanza sarà di 680 euro. Se invece la stessa famiglia avesse redditi pari a 1.178 euro, in teoria il beneficio sarebbe solo di 2 euro, ma c’è una clausola nella legge che prevede la cifra minima di 40 euro.
Questo, quindi, finora era chiaro. Un po’ meno chiaro è l’elenco completo di tutte i proventi famigliari che comportano un taglio al sostegno. Il reddito da lavoro, ovviamente, è da includere. Stesso discorso per l’eventuale sussidio di disoccupazione o l’assegno di mantenimento per i divorziati. Più complesso è capire quali tra le prestazioni assistenziali erogate dall’Inps o dai Comuni riducano il reddito di cittadinanza. Dalla legge sembrano esclusi tutti quelli che non sono legati all’Isee, oltre al bonus bebè. L’Inps però non ha mai diffuso un prospetto completo, essenziale per rendere più trasparenti i calcoli e per capire, ad esempio, se il bonus bebè influisca sulla riduzione dell’importo, nonostante sia escluso dalla legge e nonostante la social media manager della pagina Facebook dell’Inps (che a detta del presidente Inps Tridico è finita in ospedale per lo stress) abbia sostenuto il contrario in alcune risposte.