Caro ministro Salvini,
qualche giorno fa lei ha dichiarato che considera la festa del 25 Aprile un derby tra fascisti e comunisti, e che non è interessato a questo tipo di derby. Oggi, infatti, sarà a Corleone perché il suo interesse è quello di liberare il Paese dalle mafie e guardare al futuro e non al passato. Se mi permette le voglio raccontare una storia. La storia di alcuni uomini e di alcune donne che anni fa presero una decisione: combattere per la libertà.
Sapevano che mettersi contro un’organizzazione ben strutturata, che aveva ormai preso possesso di ogni parte dello Stato, avrebbe complicato loro la vita e quella dei loro familiari. Ciononostante decisero di andare avanti. Sapevano anche quanto la possibilità di venire uccisi fosse alta. Ciononostante decisero di non indietreggiare. E se uno di loro veniva ucciso, la staffetta non si fermava.
Politicamente la pensavano in maniera diversa, fra loro c’erano molti cattolici, ma anche comunisti e repubblicani. Ma quello che li univa era il bisogno di libertà.
Non tutta la popolazione, purtroppo, sostenne queste persone. Anzi, spesso, una parte del popolo prese le distanze o addirittura gli si mise contro. Ma loro non si arresero.
Molti protagonisti di questa storia sono morti, altri sono sopravvissuti e spesso passano il loro tempo a ricordare il sacrificio di chi non c’è più.
Lei penserà di certo che si tratti dell’ennesimo retorico racconto sui partigiani di un radical chic con il cuore a sinistra e il portafogli a destra, che scrive dal terrazzo del suo attico e che non conosce i problemi reali del Paese. Se è così, si sbaglia. Innanzitutto perché non le sto scrivendo dal terrazzo del mio attico: purtroppo non ne possiedo uno, anche se mi piacerebbe tanto averlo (ma mai tanto quanto una villa a Mondello!). No, le scrivo da un banale primo piano con balconcino. E si sbaglia, anche, perché ciò che in realtà le ho appena raccontato è la storia della lotta alla mafia.
Le ho parlato di persone che politicamente la pensavano in maniera diversa (chi di sinistra e chi di destra) e che, nonostante fossero osteggiati da gran parte della cittadinanza, decisero di prendere una posizione e realizzare l’impossibile: sconfiggere la mafia per vivere in libertà. E lo fecero con l’aiuto di Dio, se credenti, per la loro famiglia e per la loro Patria.
È incredibile. La storia dei partigiani, di chi ha combattuto il fascismo, somiglia molto a quella di chi ha combattuto la mafia. Allora dire che la festa del 25 Aprile è un “derby tra fascisti e comunisti” ricorda tanto ciò che si diceva negli anni Ottanta sul Maxiprocesso, e cioè che fosse un derby che riguardava la mafia e l’antimafia, un derby fra mafiosi e magistrati. E noi normali cittadini non dovevamo curarcene. Falcone e Borsellino, cito loro per tutti, incominciarono a morire in quegli anni, proprio per questo nostro disinteressarci.
Non capire chi sono i veri patrioti di un Paese – o probabilmente fingere di non capirlo – è gravissimo, perché non si può progettare un futuro senza ricordare il passato.
Dare un colore politico alla Resistenza italiana è profondamente ingiusto, sbagliato e storicamente falso: gli unici colori che possiamo attribuirle sono rosso, bianco e verde. Quelli del tricolore.
Quando lei, signor ministro, non riesce a dire che il fascismo fa schifo (e in quelle poche volte in cui lo fa aggiunge sempre frasi del tipo: “Ma anche il comunismo ha ucciso molte persone”), mi ricorda tanto quelli che a Palermo non riescono a dire che la mafia fa schifo e, quando costretti ad ammetterlo, aggiungono: “Ma la vera mafia è a Roma” (con la variante: “La mafia è nelle istituzioni”).
Tutte le riflessioni sono ben accette e spesso necessarie, ma soltanto se si parte dall’assunto di base, che è uno solo. Altrimenti la riflessione rischia di essere esclusivamente una collusione culturale.
Ogni 25 aprile, ogni 23 maggio, ogni 19 luglio (e anche qui purtroppo le date da citare sarebbero tantissime!) ricordiamo i Patrioti morti per la libertà del nostro Paese, a prescindere dal colore politico, anzi, al di là del colore politico.
Lei forse ha le idee poco chiare, perché per anni ha ricordato, e lo raffigura ancora nel simbolo del suo partito, Alberto da Giussano, il patriota della Padania. Ecco, immagini la stessa situazione, ma con patrioti realmente esistiti, spesso realmente morti, che hanno difeso una nazione reale.
Probabilmente, una volta giunto a Corleone, troverà una parte del paese che sottovoce le dirà che la mafia è nelle istituzioni, che il vero nemico è lo Stato e che alla fine “la mafia ha fatto anche cose buone”. Una frase che dovrebbe ricordarle qualcosa… Poi incontrerà l’altra parte del paese che farà una coraggiosa e instancabile “RESISTENZA” alla mafia, senza equivoci e senza esitazione, per difendere la democrazia e la libertà, faticosamente conquistate.
E temo che lo spirito della RESISTENZA la “perseguiterà” anche lì. Perché, che piaccia o meno, signor ministro, lo spirito della RESISTENZA è stato e sempre sarà la salvezza di questo Paese!
*Se avessi avuto un attico con terrazzo, oggi avrei fatto sventolare con fierezza la bandiera italiana. La stessa che voi leghisti, sovranisti dell’ultima ora, qualche anno fa volevate usare per “pulirvi il culo”. Fortunatamente la cacca dei vostri “culi” non ha mai sfiorato il nostro Tricolore, rimanendo così solo nei vostri “culetti” padani.