Quando finiscono i processi? Difficile dirlo, di sicuro più di quanto durano. Impossibile non domandarselo dopo la visione di Raffaele Sollecito, in prima visione domenica 28 aprile alle 22 su Crime+Investigation (canale 119 della piattaforma Sky). Per certe domande non c’è bisogno di scomodare la Praga di Kafka, basta la Perugia di 11 anni fa, la sua Università per stranieri, campus di piazze e viottoli medievali tintasi di nero nella notte tra l’1 e il 2 novembre 2007, quando il corpo della studentessa inglese Meredith Kercher, 22 anni, viene rinvenuto nel sangue. Cinque giorni prima, lo studente di Ingegneria Sollecito, a un passo dalla tesi, aveva conosciuto a un concerto l’americana Amanda Knox. Bella, impulsiva e possibile. Colpo di fulmine, da quel momento i due diventano inseparabili fino al giorno della morte di Meredith, trovata sgozzata in camera sua, nella casa che divideva proprio con Amanda.
Non cominciano così gli incubi? Cinque giorni per passare da Beverly Hills a Twin Peaks, e scoprirsi sempre più soli. I 90 minuti firmati da Alessandro Garramone e Annalisa Reggi per la regia di Nicola Prosatore, realizzati da Loft Produzioni (SEIF) in collaborazione con Screept e Briciola Tv per A+E Networks Italia, sono anzitutto racconto a due voci, quella del Sollecito 35enne di oggi, tornato in libertà eppure prigioniero del passato, e quella del padre Francesco, il medico pugliese rimasto a fianco del figlio dal primo momento. Mai un solo dubbio sulla sua innocenza, mai un cedimento nella difesa, mai un abbandono alla sfiducia. A loro si contrappongono altri protagonisti del caso, a cominciare dall’avvocato Francesco Maresca, difensore della famiglia di Amanda Kerchner; e ognuno rende più pirandelliana una vicenda che cambia aspetto a seconda del punto di osservazione.
Certo, la sceneggiatura è perfetta come solo la fatalità può permettersi. Sesso, sballo, segreti, bugie, ipotetiche geometrie erotiche finite in tragedia. Vittima inglese, compagna di casa americana, l’italianissimo fidanzatino nerd, il musicista congolese Patrick Lumumba, l’ivoriano Rudy Guede, detto “il Barone”. Otto anni di indagini, per Sollecito e la Knox, quattro di custodia cautelare (di cui un periodo in isolamento), cinque processi con continui ribaltamenti di giudizio, fino all’assoluzione definitiva della Cassazione (27.3.2015) “per non aver commesso il fatto”. In questi otto anni Amanda potrà contare sull’esplicito sostegno del suo Paese, diventerà un caso diplomatico, sarà accolta come una perseguitata dopo la prima assoluzione in appello per non tornare in Italia mai più. Per contro, il silenzioso, occhialuto fidanzatino suscita diffidenza fin dal primo impatto. La giustizia dei tribunali vacilla, a tratti latita: a tutt’oggi l’unico condannato in via definitiva è Rudy Guede, 16 anni per concorso in omicidio (è pressoché certo che Guede non fosse solo con Meredith, ma nessun complice è stato individuato). In compenso, il tribunale dei media continua dibattere, e come sempre i colpevolisti sono in netta maggioranza. Il documentario di Crime+Investigation ha il merito di fare l’esatto contrario, non prende posizione ma insiste sull’ambiguità del reale, sullo iato incolmabile tra atti processuali, percezione mediatica e vissuto. Sollecito è uno che l’ha fatta franca, o continua a pagare per quello che non ha fatto? In ogni caso la verità resta un fantasma, ma senza verità non può esserci giustizia. Se riavvolgere il film del passato inquieta, gettare uno sguardo sul presente dà da pensare. Un ingegnere informatico noto come imputato in un processo trasmesso in mondovisione, cui tuttavia è stato negato dalla Cassazione il risarcimento per ingiusta detenzione, non ha molto mercato, al punto da spingerlo ad accettare una proposta dalla Francia finalmente all’altezza delle aspettative. Ma dopo qualche giorno, l’azienda transalpina scopre l’odissea passata dal nuovo assunto, e Sollecito riceve su due piedi la lettera di licenziamento. Senza spiegazioni. Gli esami, diceva Eduardo, non finiscono mai. Figuriamoci i giudizi.