In un Paese di magliari, mezzecalzette e truffatori come il nostro accade che, di tanto in tanto, spunti un eroe. Ma ovviamente i magliari, le mezzecalzette e i truffatori fanno di tutto perché nessuno se ne accorga. Altrimenti ogni cittadino potrebbe scoprire, con un semplice confronto, di quale pasta siano fatte le sedicenti élite. È successo anche tre giorni fa, quando in Basilicata, è stato arrestato un manager dell’Eni e altre 12 persone sono finite sotto inchiesta per il “disastro ambientale” causato da anni e anni di sversamenti di petrolio al Centro oli di Viggiano. L’esito dell’indagine è tutto da scrivere e per ciascuno degli indagati vale la presunzione di non colpevolezza. Quello che però oggi già sappiamo basta per coltivare alcune certezze: l’inquinamento c’è stato; l’azienda lo sapeva, ma decise, come ricorda il giudice, di “emarginare”, “allontanare”, “mettere in ferie” e “destinare ad altro incarico” un giovane dirigente che proponeva soluzioni per risolvere il problema.
La sua storia è quella di un vero eroe italiano, fatto fuori per aver agito “con coscienza e scrupolo”. Di un nostro concittadino dalla schiena dritta, mobbizzato per essersi comportato come deve fare ogni manager che da una parte vuole tutelare la propria azienda e il buon nome di essa e dall’altra sente la responsabilità etica del fare impresa: cioè percepisce il dovere di garantire non solo i profitti agli azionisti, ma anche il benessere della collettività.
Il nostro eroe si chiama, o meglio si chiamava, Gianluca Griffa, era a capo del centro di Viggiano e se fosse ancora in vita oggi avrebbe 44 anni. Purtroppo, il 7 luglio 2013, Griffa è stato trovato morto in un bosco del Piemonte. Dicono che si sia suicidato. Prima di morire aveva però scritto un lungo memoriale, più volte citato nelle carte dell’inchiesta, in cui raccontava per filo e per segno cosa accadeva in Val d’Agri. L’incartamento è una lettura istruttiva da cui si apprende, tra l’altro, come allora nel centro venissero assunti “i giovani perché più facilmente controllabili”.
È un documento importante che in qualunque Paese non caratterizzato da magliari, mezzecalzette e truffatori sarebbe occasione di discussione e dibattito. Invece tutto, o quasi, tace. Stanno zitte le forze politiche che solo il 17 aprile avevano ricevuto tra gli applausi a Roma, Greta Thunberg, la sedicenne svedese protagonista di una meritoria battaglia per l’economia sostenibile, la lotta al cambiamento climatico e la messa al bando degli idrocarburi.
Non proferisce la presidente del Senato Maria Elisabetta Casellati, che aveva accolto Greta a braccia aperte elogiandola “per il coraggio” con cui ha portato “i temi ambientali al centro del dibattito politico”. Non parla il neo segretario del Pd, Nicola Zingaretti, che a Greta aveva dedicato la sua vittoria alle primarie. Il Movimento 5 Stelle, che aveva difeso la sedicenne dagli attacchi scomposti della giornalista Maria Giovanna Maglie (“Se Greta non fosse malata la metterei sotto con la macchina”), si fa sentire. Ma solo a livello locale. I grandi giornali che a Greta Thunberg avevano riservato un trattamento da eroina, non riportano la notizia del disastro ambientale della Val d’Agri o se lo fanno dedicano all’inchiesta poche righe. L’eroe questa volta ce l’hanno in casa. Non in Svezia. Ma non lo vogliono vedere. Perché in un Paese di magliari, mezzecalzette e truffatori come il nostro è meglio per tutti giocare a fare gli ambientalisti col fondoschiena degli altri. Non so voi, ma lo scrivente ha voglia di vomitare.