Cari colleghi giornalisti, ci stiamo suicidando. Perché cerchiamo sempre meno le notizie e facciamo strabordare le opinioni. Perché ci indigniamo per le fake news sui social, ma troppo spesso siamo noi professionisti dell’informazione a rifilarle ai lettori, e con dignità di stampa. Perché incolpiamo Internet delle centinaia di migliaia di copie perse negli ultimi anni e non ci accorgiamo che all’estero c’è chi argina il declino, o addirittura inverte la tendenza, puntando sulla qualità. A livello mondiale, tra il 2013 e il 2017 il giro d’affari dei quotidiani è calato dell’8,6%, che non è poco, ma in Italia siamo precipitati del 20,2%. Più del doppio. Così FQ MillenniuM, il mensile diretto da Peter Gomez, esce in edicola domani con un numero largamente dedicato alla crisi della carta stampata. E alle buone idee per contrastarla. Inchieste e approfondimenti raccontano il dietro le quinte di quello che leggete ogni giorno. Partendo dai massimi sistemi: gli editori impuri che gestiscono giornali in perdita perenne solo per farli pesare sul tavolo di affari ben più sostanziosi, dal mattone alla sanità privata. E stringendo poi il fuoco su quanto possano essere devastanti gli effetti della disinformazione, come nell’incredibile storia di Taranto, dove – come risulta dall’inchiesta giudiziaria “Ambiente svenduto” – per molti anni l’Ilva ha di fatto comprato l’informazione locale, con il risultato di tenere nascosti all’opinione pubblica e alla politica nazionale i malati e i morti da inquinamento. Così come in Sicilia il caso Montante – raccontato da Claudio Fava – ha svelato l’intreccio perverso tra mafia, antimafia e informazione.
C’è stato sì chi ha provato ad aumentare la diffusione, ma col trucco, secondo l’accusa che la Procura di Milano contesta a Roberto Napoletano, ormai ex direttore del Sole 24 Ore, il giornale di Confindustria, a cui FQ MillenniuM dedica un lungo e documentato ritratto. Imputato per false comunicazioni sociali e aggiotaggio, sfiduciato dalla redazione, oggetto di un’azione di responsabilità, in queste settimane Napoletano è tornato in edicola con una nuova creatura, L’Altravoce, grondante indignazione per la malagestione economica del Paese.
“Imparzialità” è la parola chiave da cui ripartire, scrive nell’editoriale il direttore Peter Gomez. E certo non aiutano le vorticose porte girevoli fra informazione e politica. Troppe le firme di grido che hanno fatto il viaggio di andata e ritorno dalla redazione-Parlamento-redazione, con buona pace della credibilità agli occhi del pubblico. L’elenco è fitto e riempie diverse pagine del magazine. Un caso su tutti: Lilli Gruber. Prima giornalista Rai, poi eurodeputata dell’Ulivo, lasciò con sei mesi d’anticipo il seggio per andare a condurre, su La7, il talk show politico di punta dell’emittente.
A proposito, il 26 maggio noi europei eleggiamo il nuovo Parlamento. Il voto democratico, si sa, poggia sulla libertà di stampa e di opinione. Che, come racconta un lungo reportage, in diversi Paesi dell’Est – non solo nella famigerata Ungheria di Orbán – è ostaggio di politici e oligarchi. Ma non è che nei Paesi di più solida tradizione civica sia tutto rose e fiori. Leggere, per credere, l’intervista a Edwy Plenel, fondatore e direttore della battagliera (e florida) testata francese indipendente Mediapart.