La questione è presto detta. Ventimila voti, forse qualcuno in meno, si stanno spostando a Messina e dintorni da Forza Italia alla Lega. Sono i voti posseduti da Francantonio Genovese, già segretario regionale del Pd, già deputato, già condannato (undici anni in primo grado) e già incarcerato per voto del Parlamento e perciò trapassato, come puntigliosa reazione, da sinistra a destra.
Ma Francantonio, il cui corpo esile nasconde un tesoro in pancia che nessuno nell’isola può vantare, è papà di Luigi che soltanto ventenne e soltanto universitario, mingherlino e ignoto alla passione politica è stato appena eletto, come conseguenza dell’affronto al babbo, all’Assemblea regionale siciliana come rappresentante neoberlusconiano (17mila preferenze, urca!), e ora però e purtroppo già dato come transfuga. I Genovese sono i Caronte di Sicilia. Hanno avuto per anni il business del trasporto marittimo nello Stretto, e gli investimenti nell’industria alberghiera e nell’immobiliare, hanno procurato un dominio economico che nella politica ha trovato la stanza di compensazione. Il giovane Luigi ha il papà fortissimo, ma anche il nonno, da cui ha preso il nome, era super ferrato in fatto di preferenze (fu senatore Dc dal ’72 al ’94). Per non parlare del prozio Nino Gullotti (otto legislature al Parlamento) e nume democristiano dell’isola.
Tutta una famiglia, tecnicamente una Spa, che coniuga felicemente imprenditoria e politica, affari e comizi, commesse e promesse. E allunga il passo sebbene sempre inseguita dalla magistratura che nella famiglia trova gli indizi e le basi delle sue accuse. Ma i Genovese per un popolo largo di fedelissimi (appunto il popolo dei ventimila voti) sono speranza e mito. “Non c’è giorno – disse Francantonio con un sussulto – che nel mio studio non entri un messinese in cerca di una parola di conforto, di un aiuto o solo di un consiglio”.
Ora i Genovese sono amicissimi di Angelo Attaguile, eurodeputato ai tempi di Raffaele Lombardo, indagato per voto di scambio e oggi ricandidato a Strasburgo per opera della Lega. Angelo a sua volta è figlio di Gioacchino (ex senatore e ministro democristiano) e cugino di Francesco (ex sindaco di Catania). Già in splendida forma per fatti suoi, Attaguile si ritrova sul groppone i voti potenziali della dinasty messinese. E il colpo è miracoloso perché finalmente eleva Matteo Salvini, l’ex padano, a uomo di potere anche siciliano, da causare questo primo e straordinario caso di overbooking politico.
Perché nella Lega, già ingrassata da parecchi trasferimenti nella recentissima campagna acquisti siciliana, qualcuno ha persino temuto di ingozzarsi troppo. Un assessore di Catania, Fabio Cantarella, tentando di arginare l’esodo, ha urlato: “Non vogliamo i transfughi”. Da incorniciare la risposta della maggioranza silenziosa leghista, a opera di Antonino Rizzotto, detto Tony, già fedelissimo di Raffaele Lombardo (ricordate? l’ex governatore sotto processo per concorso esterno alla mafia e voto di scambio aggravato) e oggi rappresentante leghista all’assemblea regionale: “Non togliamo ai siciliani la voglia di votare”.
E infatti, la voglia sembra esserci. I Genovese hanno smentito il trapasso nella Lega ma hanno confermato l’amicizia con Attaguile, il traghettatore. “Sì, è così, i voti di Genovese potrebbero prendere la direzione di Salvini”, dice addolorata Stefania Prestigiacomo, berlusconiana della prima ora e oggi testimone del declino forzista. Aggiunge, un po’ sdegnata: “Non so cosa voglia fare Nello Musumeci, il presidente della Regione. So che in queste ore è impegnato, con tutti i suoi uffici, a organizzare una corsa di cavalli nella sua città, Catania. Mi hanno spiegato che i quadrupedi sarebbero di una razza autoctona, quindi una risorsa da valorizzare”.
Anche Musumeci, che guida un suo movimento a cui ha dato come nome una frase di Paolo Borsellino (“Diventerà bellissima”) contribuirà certamente all’annunciato, fantastico risultato salviniano, essendosi impegnato in un patto stretto insieme al governatore ligure Giovanni Toti, a sostenere le ragioni di una rifondazione del centrodestra immaginata come fronte sovranista a guida padana.
Se la Lega succhia al centro e svuota Forza Italia (nelle mani dell’eterno ma un po’ affaticato Gianfranco Miccichè) nelle sue postazioni più prestigiose, Fratelli d’Italia, l’altro alleato, morde alle caviglie Berlusconi. Che tra i continui rovesci ha dovuto annoverare anche la dipartita di alcuni big territoriali, come il deputato Nino Minardo e il sindaco di Catania Salvo Pogliese che devono ora decidere dove andare: meglio Meloni o Salvini?