Fossimo stati in Luigi Di Maio avremmo salutato con legittimo orgoglio il viaggio coraggioso della sindaca di Roma in quel di Casal Bruciato. Lo avremmo fatto per ragioni politiche, umanitarie e anche elettorali. Perché nell’affrontare la teppaglia ululante, la donna Virginia Raggi ha mostrato di essere più uomo di quel ministro forzuto e barbuto: uno tutto chiacchiere e distintivo a cui come rischio peggiore può capitare un selfie con la persona sbagliata. Perché la prima cittadina della Capitale si è recata in quella periferia presidiata militarmente dai fascisti di CasaPound per affermare la presenza dello Stato altrimenti latitante (vero prefetto Gerarda Pantalone?). Nonché il rispetto della legge che attribuisce a una famiglia di nomadi bosniaci (con 12 figli, di cui 10 minorenni) il diritto di prendere possesso di un alloggio popolare legalmente ottenuto.
Perché la solidarietà della Raggi nei confronti di quelle persone minacciate, ha suscitato l’apprezzamento della grande stampa, dal Corriere della Sera a Repubblica, altrimenti implacabile nella critica costante all’operato della giunta pentastellata. E invece, l’altro giorno, mentre la Raggi si apprestava a rientrare in Campidoglio, il capo politico grillino faceva trapelare sulle agenzie la sua irritazione, così tradotta: “Non doveva andare, in questo modo oscura la nostra vittoria su Siri”.
Insomma, una questione di tempistica mediatica, mentre preferiamo non credere che l’ombroso vicepremier abbia cercato di allinearsi con il vicepremier barbuto e forzuto adottandone lo stile: “Prima i romani dei rom”. Sia come sia, se fossimo stati in Di Maio (ma per sua fortuna non lo siamo) avremmo accolto l’iniziativa della Raggi come manna elettorale.
Facciamo un passo indietro. Non c’è sondaggio che non registri una massiccia quota di indecisi. Un vasto serbatoio dal quale il M5S spera di attingere, all’ultimo momento, molti di quei consensi che attualmente mancano all’appello, come del resto avvenuto in passato. Questo voto “incerto” sembra appartenere solo in parte al centrodestra, nel quale Matteo Salvini avrebbe già fatto il pieno, salvo mangiarsi un altro pezzo dei resti di Forza Italia. Resterebbero quindi da scandagliare le agitate acque del centrosinistra dove, in vista delle Europee convivono tre, incerte, correnti di pensiero. La prima: il Pd di Zingaretti non mi fa impazzire ma tutto sommato restano i meno peggio. La seconda: basta, ne ho le scatole piene di questo teatrino e domenica 26 maggio me ne vado al mare. La terza: potrei anche dare il voto ai Cinque Stelle se ogni tanto facessero qualcosa di sinistra.
Dunque, per puro calcolo elettorale, Di Maio avrebbe potuto felicitarsi per la buona sorte. E riflettere seriamente sull’opportunity Virginia: ma tu guarda, sembrava lei il nostro problema con tutti i casini che ci sono a Roma e invece eccola lì sul palco del 25 aprile che celebra la Liberazione accanto ai partigiani mentre adesso riceve anche il plauso della Caritas, del vescovo e di quell’opinione pubblica a cui il criptorazzismo del socio Salvini fa venire l’orticaria. Parole in libertà? Infatti ci sembra di sentirli quelli che dicono: la sindaca pensi piuttosto alla spazzatura che marcisce nei cassonetti e ai bus che prendono fuoco. Ok, ma per una volta vorremmo stringerle la mano e dirle grazie.