In questi giorni molti si interrogano sul numero di domande di reddito di cittadinanza all’Inps che è un po’ sotto le attese. Tra le spiegazioni più gettonate c’è quella secondo cui, siccome molti lavorano in nero, preferiscono non chiedere il sussidio per evitare controlli fiscali e sanzioni penali. Quindi, è il corollario, in Italia non c’è poi tutta la povertà che pensavamo.
Ma la povertà assoluta è una misura che si basa sulla spesa effettiva della famiglia per consumi (differenziata per tipologia del nucleo, ripartizione geografica di residenza e ampiezza del Comune), non sul reddito presunto. Le famiglie povere – secondo l’Istat 1,8 milioni (5 milioni di individui) – sono quelle che spendono in maniera insufficiente per il sostentamento, a prescindere dalla fonte dei loro magri redditi. Magari questi poveri lavorano in nero, ma hanno comunque dei consumi da poveri.
I motivi per cui il reddito di cittadinanza non decolla sono altri. Nei primi due mesi sono state presentate oltre un milione di domande, un quarto delle quali destinato a essere rigettato dall’Inps per la mancanza di uno o più requisiti. Rispetto alla platea delle famiglie in condizioni di povertà assoluta, le domande presentate sono sotto le attese proprio a causa dei requisiti troppo stringenti per la richiesta del beneficio. In assenza di informazioni più precise per identificare il mismatch tra reddito di cittadinanza e povertà, si può ritenere che a pesare maggiormente siano i criteri di calcolo della scala di equivalenza del reddito (il richiedente vale 1, ogni altro adulto 0,4, ogni minore 0,2 con un massimo di 2,1 aumentato a 2,2 in presenza di disabili) che penalizzano le famiglie numerose; il tetto a 6.000 euro sul conto in banca soprattutto per l’integrazione della pensione di cittadinanza; il requisito della residenza e dell’attestazione del patrimonio che impedisce a molti dei 500 mila nuclei di stranieri poveri (il 28% del totale) di accedere al beneficio.
Il numero di domande pervenute finora all’Inps è pari al 57% delle famiglie in povertà assoluta, con differenze regionali notevoli. In Sardegna sono state presentate 46.335 domande a fronte di 35.011 famiglie povere (il 132%), mentre in Trentino Alto Adige la sovrapposizione è solo del 23%. Anche in Abruzzo il numero di domande per il reddito di cittadinanza supera la povertà (103%) e tassi elevati si registrano in Campania (85%) e Toscana (84%). Tra i valori inferiori alla media prevalgono le regioni del centro-nord, con l’eccezione di Calabria e Molise (entrambe 43%).
Il motivo di tale disparità territoriale può essere spiegato in termini di diverso tasso di accettazione delle domande, con un numero di rifiuti maggiore laddove la percentuale è più alta, ma potrebbe anche risiedere nella misura statistica. In Sardegna le soglie di povertà assoluta prese a riferimento potrebbero essere troppo basse o la copertura campionaria (le famiglie intervistate per sapere come spendono i loro soldi) non adeguata.
Poiché l’obiettivo del reddito di cittadinanza è il contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all’esclusione sociale e le regole rischiano di penalizzare alcune categorie di indigenti, è già chiaro che serve qualche aggiustamento. Ciò sarà possibile grazie ai risparmi sullo stanziamento inizialmente previsto, che andrebbero destinati ad ampliare la platea dei beneficiari, con correttivi che permettano di raggiungere il maggior numero di poveri.
di Franco Mostacci