Egregi vicepresidenti del Consiglio dei ministri Luigi Di Maio e Matteo Salvini,
questa rubrica desidera comunicarvi che i vostri continui litigi e battibecchi, veri o falsi che siano, ci stanno sfracassando gli zebedei. Nella vita c’è una misura in tutto. Anche nelle campagne elettorali. Per questo oggi il solo pensiero di assistere per altri dieci giorni a questo infinito ping pong di battute, risposte e provocazioni ci fa venire la nausea. Quando avevate sottoscritto il famoso contratto di governo, tutti gli elettori sapevano che le vostre rispettive forze politiche non erano uguali. E che il contratto sarebbe dovuto servire per stabilire prima cosa avreste fatto e cosa no. L’idea, copiata pari pari dalla Germania, lo ribadiamo, era buona. Ma arrivati a questo punto si deve constatare che a quel documento mancava una postilla: l’impegno solenne a non sfidare la pazienza dei vostri concittadini.
Certo, lo sappiamo, in assenza di segnali di vita da parte dell’opposizione è facile cedere alla tentazione di interpretare tutte le parti in commedia. Ma un conto è marcare le differenze tra i due contraenti del patto di governo e un altro è approfittare di ogni accadimento per dar vita a furibonde risse verbali. Perché chi sta pro tempore al potere deve sempre ricordare che la serietà viene prima di tutto. E che prima delle parole vengono i fatti.
Tutta Italia attende ormai da gennaio la famosa legge sblocca-cantieri. La scelta di rimandarne la discussione in Parlamento a dopo le elezioni è controproducente per i cittadini e per il Paese. Non pensate che sarebbe stato più utile approvarla in anticipo rispetto alla chiamata alle urne? Non solo per noi italiani, che tiriamo tutti i giorni la carretta e che desideriamo vedere la nostra nazione crescere a percentuali un po’ superiori a quelle dei prefissi telefonici. Ma anche per voi che, facendo politica, siete alla disperata caccia di consensi.
Il vostro, allo stato, è un matrimonio obbligato. Altre maggioranze in Parlamento non se ne vedono. E l’idea di andare al voto anticipato durante l’estate o a settembre è il sistema migliore per trascinarci tutti all’inferno. Sì, lo sappiamo, e persino in parte concordiamo, i mercati sono cattivi e antidemocratici. L’establishment finanziario è pessimo. Negli ultimi venti anni si è arricchito a dismisura alle spalle sia dei poveri sia di chi lavora (povertà e lavoro oggi sono anzi spesso sinonimi). Detto questo, nessuno può far finta che per ora non abbia il coltello dalla parte del manico. Se si va al voto prima della manovra finanziaria d’autunno sappiamo tutti che sarà il generale agosto a far schizzare i tassi d’interesse sul nostro nuovo debito a livelli al cui confronto quelli odierni sembreranno acqua fresca. Con tutte le pessime conseguenze del caso. Avete detto urbi et orbi di essere il cambiamento? Be’, è ora di dimostrarlo anche in campagna elettorale.
A questa rubrica, francamente, importa poco chi governi. Interessa invece che chi lo fa, lo faccia con impegno, senso di responsabilità e della misura. Che pensi prima al bene comune e poi a se stesso. Che ottenga per tutti dei buoni risultati. Il destino vi ha portati a Palazzo Chigi? Vi conviene ricordare che avete il dovere di dimostrare di esserne degni. Anche perché, in caso contrario, ve lo ricorderanno a breve gli zebedei ormai frantumati di gran parte degli elettori.