Sono elezioni europee, ma sono anche elezioni nazionali. Non soltanto in Italia. La consultazione già in corso in Olanda e Gran Bretagna che si chiude domani sera stabilirà anche i rapporti di forza in molti Paesi. A cominciare dallo Stato in cui nemmeno si doveva votare, il Regno Unito la cui Brexit è stata rimandata: la premier Theresa May ha annunciato l’addio, il voto chiarirà il nuovo contesto. Il Brexit Party del redivivo Nigel Farage (fu lui a guidare la campagna per il leave al referendum 2016) punta a essere il primo partito. Ma questa volta alle urne ci sono anche forze dichiaratamente pro-Europa, a cominciare dal movimento trasversale Change-Uk. La posta in gioco, per gli inglesi, è la possibilità di un secondo referendum sulla Brexit: dipenderà sia dai risultati interni sia da quale Parlamento e Commissione europea emergeranno dalle urne.
Anche la seconda fase del complicato mandato di Emmanuel Macron è appesa alle elezioni europee, primo test alle urne dopo il disastro dei Gilet gialli. Negli ultimi sondaggi disponibili, in Francia il primo partito è il Ressemblement National di Marine Le Pen con il 24%, che equivale a 22 seggi a Bruxelles, mentre La République en Marche di Macron insegue a 22,8 (21 seggi). Il distacco è inferiore all’errore statistico dei sondaggi: un sorpasso di Macron sarebbe un trionfo, arrivare secondo una sconfitta. L’Eliseo ha già chiarito da tempo di non riconoscere il sistema degli Spitzenkandidaten per la Commissione. Tradotto: Macron vuole il ritorno al passato, saranno i governi riuniti nel Consiglio europeo a scegliere il presidente della Commissione, non i partiti e gli elettori. La Francia spera di essere decisiva, magari a favore di un francese come Michel Barnier, ex commissario, negoziatore per la Brexit, che è in quota Partito popolare.
In Germania potrebbe cadere il governo di Angela Merkel, a seconda del risultato. Nel 2014 i socialdemocratici della Spd avevano ottenuto un sontuoso 27 per cento che aveva permesso loro di confermare il presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz. Oggi, anche per le scelte di Schulz, che ha accettato l’ennesima grande coalizione (in Europa e in Germania), arrancano dieci punti sotto. Un tracollo della Spd alle Europee e la perdita delle elezioni locali a Brema può far ritirare il sostegno socialista alla grande coalizione e innescare il percorso verso elezioni nazionali. La carriera tedesca della Merkel sarebbe così finita. Chi la conosce assicura che non voglia altre sfide e che sia orientata a godersi la pensione, tra Berlino e Ischia, ma il suo potrebbe anche essere un nome di peso per la guida del Consiglio europeo. Magari anche soltanto da agitare nelle trattative così da tentare il colpo (improbabile) di piazzare il banchiere centrale tedesco, Jens Weidmann alla Bce. Ieri è uscita l’indiscrezione che il blocco dei Paesi di Visegrad, guidati dalla Polonia, avrebbe chiesto proprio alla Merkel la disponibilità per il Consiglio. Ma potrebbe essere solo una voce da campagna elettorale.
Il partito della Merkel – la coalizione Cdu-Csu, soffre –, insidiato dall’estrema destra di Afd: un successo di Alternative für Deutschland alle Europee potrebbe contribuire al caos e a spostare ancora più a destra la linea di Annegret Kramp-Karrenbauer, erede della Merkel alla guida della Cdu. Afd però si considera il vero bersaglio della operazione che ha terremotato il governo dell’Austria, con il ministro Heinz-Christian Strache (della destra di Fpo) ripreso da telecamere nascoste mentre si mette a disposizione di una finta oligarca russa. Una mossa da professionisti, pensano quelli di Afd, che potrebbe essere stata messa in piedi dai servizi segreti tedeschi per delegittimare i sovranisti del Paese vicino in modo da screditare anche quelli domestici.
Il leader più anti-russo d’Europa è Jaroslaw Kaczynski, capo del partito Pis in Polonia e vero padrone del governo di Mateusz Morawiecki. Dopo lo scandalo in Austria, Kaczynski è ancora meno disposto ad allearsi in Europa con sovranisti vicini a Mosca e punta verso l’intesa con Matteo Salvini per creare una gamba destra del Ppe, grazie al ponte del furbissimo ungherese Viktor Orbán. Kaczynski però potrebbe vacillare dopo le Europee, che in Polonia sono viste come la prova generale delle elezioni politiche di ottobre: nei sondaggi la destra ultracattolica e nazionalista del Pis è testa a testa con una trasversale Coalizione europea che potrebbe anche risultare primo partito. I governi di tutta l’Europa che conta sono appesi al voto di domani.