Il 13 maggio l’avvocato ligure Maria Teresa Bergamaschi si accomoda davanti ai pm della Procura di Milano. Deve spiegare i suoi rapporti con l’eurodeputata di Forza Italia, Lara Comi, le consulenze avute da Afol – l’agenzia metropolitana milanese per la formazione – e i soldi, 10 mila euro, ridati all’attuale coordinatrice azzurra della provincia di Varese. Al termine Bergamaschi sarà indagata per corruzione in concorso con Comi (indagata anche per finanziamento illecito) e Beppe Zingale, dg di Afol. Superati i preliminari: come conobbe la Comi? (“Dodici anni fa a una campagna elettorale per le Provinciali di Savona”), il pm chiede da chi la Bergamaschi seppe che i suoi contratti erano sotto indagine. “Lara Comi mi mandò i dispacci di agenzia. Poi giovedì scorso mi ha girato un altro lancio scrivendomi: che dici? Sai quello che è il problema? È che rischio di prendere più voti di S.B.”. Il riferimento è a Silvio Berlusconi. La Comi, emerge dal verbale, sostiene che il suo coinvolgimento nell’inchiesta sulla tangentopoli lombarda le darà una spinta alle urne. Alle Europee incasserà 31 mila voti piazzandosi seconda dietro a Berlusconi. Da quale circoscrizione sceglierà di essere eletto B. dipendono le chance della Comi di tornare a Strasburgo.
In quel momento la Procura sequestra il telefonino della Bergamaschi. Dalla analisi emerge un dato importante, il timore della Comi di essere intercettata. Tanto che il pm dice: “Le si contesta che dalla lettura della chat WhatsApp risulta che la Comi le scrisse di stare attenta, di non parlare al telefono e per messaggio e di scaricare Telegram”. Spiega la Bergamaschi: “Ritengo che la Comi si riferisse a Zingale”. E ancora: “Io non le chiesi niente di specifico, per me era ovvio che l’invito all’accortezza era relativo alla vicenda di Zingale”. Lara Comi, leggendo il verbale, appare consapevole della delicatezza della vicenda che riguarda da un lato le due consulenze avute dalla Bergamaschi da Afol per 38 mila euro e dall’altro la sua richiesta di avere 10 mila euro che, stando alle parole del politico riferite a verbale dalla Bergamaschi, dovevano andare a Zingale. “Zingale – dice l’avvocato – non mi chiese mai denaro (…) e a lui non ho mai dato un euro”. Quei 10 mila euro, però, paiono un’ossessione per la Comi.
“Lei (Comi, ndr) – dice Bergamaschi – mi disse: Zingale ne vuole una parte”. I contratti vengono firmati. Bergamaschi si occuperà di una ricerca a livello europeo. “Finito il lavoro andai da Lara, le chiesi se potevo proseguire, lei disse che dovevamo parlare con Zingale”. Prima, però, le due donne si vedono da sole. “In quell’incontro mi disse che lei credeva che Zingale volesse una parte del compenso”.
Sono sempre i 10 mila euro che la Comi chiede al legale. La cifra, secondo i pm, sarà data attraverso l’annullamento del costo (5 mila euro) del libro che la Bergamaschi ha scritto per la Comi e con un pagamento dell’altra metà a fronte dell’emissione di una fattura falsa, fatta da una società della Comi. Il 14 maggio, Bergamaschi viene risentita come indagata. A verbale conferma e aggiunge: “Il 15 dicembre 2018 mi arrivò un messaggio di Lara Comi (…) mi scriveva: Zingale vorrà il regalo di Natale”. In seguito sempre Comi “mi parlò della necessità di pagare in vista dell’estensione dell’incarico una cifra di 10 mila euro a Zingale”. In altri incontri Comi “mi ha ribadito la necessità di pagare (…) Zingale”. Il concetto è chiaro: “Lara mi specificò con certezza che, ottenuto il contratto, avrei dovuto dare del denaro a Zingale” Il dg di Afol però non chiese mai denaro e per questo sta preparando un memoriale da presentare in Procura. Le ultime battute la Bergamaschi le dedica a un incontro con Nino Caianiello, già coordinatore di FI a Varese e presunto burattinaio delle tangenti. “Il Nino mi sorprese perché subito mi chiese come procedeva la consulenza con Afol. La cosa mi diede fastidio perché non capivo chi fosse, perché parlasse delle mie consulenze e perché aveva un atteggiamento arrogante”.