L’Infinito di Leopardi compie 200 anni. Mo’ me lo segno, direbbe Troisi, e farebbe bene. Che saranno mai due secoli per l’infinito? Meno di due selfie per Salvini. Ma in questo millennio asfittico e bulimico ogni occasione è buona per celebrare il passato. Mostre, letture in Piazza Sabato del Villaggio, scampagnate al Colle dell’Infinito; ormai la Leopardiland di Recanati ha poco da invidiare al Carnevale di Viareggio. Dopo questo precedente altri vorranno veder celebrati i loro cavalli di battaglia. E I sepolcri? E Il 5 maggio? E La spigolatrice di Sapri?
Perché poi, tra tanti canti immortali, proprio l’Infinito? Lo spiega sul Corriere della Sera Alessandro D’Avenia, autore di Come Leopardi può salvarti la vita: “C’è un’arte di vivere che è l’arte di essere fragili”. Ma che davero? Davero davero: “La bellezza ha l’ultima parola e non il nulla”. Excusatio non petita… Ora, non c’è testo leopardiano (Infinito incluso) in cui non si sostenga l’esatto contrario e si irrida ai positivisti della domenica; eppure i nuovi Gino Capponi, i D’Avenia e i Martone (autore del polpettone Il giovane favoloso) tirano dritto.
Così l’autore del Dialogo di Tristano e di un amico è rieducato, arruolato al servizio della politically correctness (e in fondo se l’è cavata a buon mercato, a Bizet hanno perfino cambiato il finale della Carmen). Quel cuorcontento di Leopardi, fragilino ma innamorato della bellezza tipo Jovanotti. Ecco come può salvare la vita a noi: cambiando i connotati a lui.