Il commento più tagliente, di chi ha amato senza condizioni e poi è stato tradito, è stato questo: “Comandante pensavamo fossi il nuovo Che Guevara e invece eri Matteo Renzi”. Geniale, da tanti punti di vista.
Il Comandante in questione si chiama Maurizio Sarri, l’allenatore che per tre anni ha fatto innamorare Napoli senza vincere nulla. Una passione cresciuta con la sola forza dell’Estetica della Grande Bellezza, nella città italiana dove il mito della diversità e della via calcistica al riscatto sociale è una malapianta inestirpabile.
E così Napoli, città appunto di passioni irrazionali (ah, i lumi perennemente spenti della Repubblica del Novantanove), vive l’ennesimo tradimento: Sarri va alla Juve.
Stavolta però non si tratta di un tradimento “solamente” calcistico, modello Altafini e Higuain. Stavolta è qualcosa di più profondo e ancestrale, laddove l’antropologia del popolo napoletano abbraccia l’ideologia comunista. Un incrocio fatale. Ché in una città orfana della sinistra tradizionale da decenni – la città di Bordiga, indi dello stalinismo di destra di Amendola e Napolitano nonché dell’operaismo di Bassolino – Sarri ha incarnato un rinnovato movimentismo alla Che Guevara.
Di qui la trasfigurazione in santino intoccabile, nonostante i suoi errori sul campo – il dogma ottuso dei titolarissimi senza ricorrere all’intera rosa – e il piagnonismo tipico dei condottieri populisti: “Abbiamo perso lo scudetto in albergo”, in riferimento alla mancata espulsione del bianconero Pjanic un anno fa in Inter-Juve e che consegnò lo scudetto alla “Rubentus”.
Sarri ha sempre accarezzato la pancia della folla (da Masaniello a oggi non mancano gli esempi) e da semplice allenatore è stato elevato al rango di Santo patrono e Comandante della rivoluzione. Un miracolo che non accadeva da trent’anni, dai tempi di Lui, cioè Maradona (che però rifiutò la Juve), e che è stato canonizzato da un sito diventato quasi partito politico: Sarrismo, gioia e rivoluzione. E lì che oggi si riversa l’infinito quaderno delle doglianze di un popolo tradito, come il messaggio sul neorenzismo di Sarri. Altro esempio: “Se vai in quella squadra lì sposi il motto ‘vincere è l’unica cosa che conta’, e tu non sei questo, tu non sei così. Conta anche il modo. Conta soprattutto il modo. Conta la bellezza. Conta la gioia collettiva. Ce l’hai insegnato tu. Non puoi tradire te stesso. Io non ci voglio credere”.
Un dolore banale e fin troppo noto, con frasette amene e strappalacrime oppure di rabbia per il tradimento. Nell’ultimo mese, da quando è partita l’estenuante trattativa tra la Juve e Sarri, anche le élite cittadine si sono confrontate con questo improvviso lutto. Il sindaco Luigi De Magistris ha riferito proprio al Fatto di “gastrite” da Sarri.
I delusi vanno da Nino D’Angelo a Maurizio De Giovanni, giallista ma anche tifosissimo del Napoli (una delle sue opere più belle racconta l’epica vittoria degli azzurri a Torino contro la Juve, uno a tre, nel novembre del 1986, la stagione del primo scudetto). Addirittura un docu-film sul Comandante è stato bloccato dagli stessi autori, tra cui la “voce” dell’attore Massimiliano Gallo. E i sarristi di Gioia e rivoluzione hanno praticamente mandato al macero le copie del libro Fino al Palazzo. Ché è finita con il Comandante che si mette il vestito buono con la cravatta e anziché conquistare il Palazzo, si mette borghesemente a bussare e chiedere permesso agli odiati padroni di Torino.
E dire che questa storia del mito di Sarri rivoluzionario era cominciata per gioco. Sul Napolista diretto da Massimiliano Gallo, ex Riformista, apparve una parodia dell’Urss, Unione delle Repubbliche socialiste sarrite, firmata Zdanov, e quella fu la scintilla che scatenò l’incendio. Nacque Sarrismo, gioia e rivoluzione e dopo un po’ al sito irruppe il commissario politico Sandro Ruotolo, che diede una connotazione ideologica e seria al fenomeno, al punto che fino a poco fa si è parlato persino di una lista sarrista alle Amministrative di Napoli.
Da quel momento in poi, l’operazione Sarri comunista è stata il manganello per dare addosso agli allenatori riformisti tipo Benitez e Ancelotti e per alimentare la contestazione al presidente “romano” Aurelio De Laurentiis (qui siamo sul fronte del “papponismo” ma non deviamo). Adesso che tutto è crollato, su queste macerie della presunta diversità napoletana, vale la pena riportare le parole di Vittorio Zambardino sul Napolista, dove scrive anche Guido Ruotolo, in dissenso dal fratello Sandro: “È stata una sporca operazione ideologica di massa, alla quale Napoli ha abboccato, e averla protratta fino a ieri dimostra che il veleno a Napoli si vende a poco prezzo e piace a molti”. Ecco cosa significa Sarri alla Juve, non dimenticando che Togliatti e Lama furono juventini.