Il lutto si addice ad Elettra ma anche alla Roma che celebra – dopo il campionato disastroso, l’esclusione dalla Champions, lo stadio fantasma, il cupo addio di Daniele De Rossi -, il funerale definitivo: quello della gestione americana. Officiante, e insieme auto vittima sacrificale, Francesco Totti che nell’immolarsi nel giorno in cui avrebbe “voluto morire” annuncia la possibile resurrezione in quel di Trigoria, magari con una “nuova proprietà”. Non proprio nell’anno del poi, a leggere controluce (ma mica tanto) alcuni passaggi della fluviale conferenza stampa. Ospitata, non a caso, nelle sale di quel Coni, il cui presidente Giovanni Malagò è già candidato da misteriose cordate a guidare la Roma del futuro.
Ipotesi di acquisizione contestate dai vertici societari che rischiano di trasformare lo scontro nella guerra atomica. È soprattutto politico l’addio-arrivederci dal numero 10, capace di parlare come pochi il linguaggio della trasparenza. Forse in alcuni passaggi terra-terra ma proprio per questo implacabile nel mettere in fila i tanti sassolini e macigni accumulati in questi due anni da dirigente inutilizzato. E che adesso si dovranno digerire tutti coloro che lo hanno escluso dalle decisioni che contano, a cominciare dall’uomo nero (ma sarà davvero così?) Franco Baldini.
Micidiale, Totti, soprattutto nel fare emergere, per contrasto, la pochezza imprenditoriale della Pallotta company responsabile di avere buttato nel cestino, per non dire peggio, un gioioso brand universale come quello dell’unico, vero Capitano. Meritandosi la disistima non solo dei tifosi feriti nei sentimenti ma anche – qualcuno già immagina – del business internazionale di cui a ragione si sentono parte. Purtroppo sfiancati da questa infinita quaresima gli appassionati giallorossi (parlo per me) vorrebbero tanto che una fine così tormentata della Totti story impedisse almeno un tormento senza fine.
Per questo dopo aver sottoscritto l’altro ieri un insensato abbonamento mi iscrivo alla modalità Proietti. E dunque non accarezzo più sogni di gloria ma come Gigi “mi accontenterei, diciamo, di una squadra interessante”. Quanto a Francesco non sopportavamo più di vederlo inquadrato sugli spalti silenzioso e triste perché lo sentivamo lacerato dal desiderio di rompere e da quello di restare. Alla fine ha scelto molto soffrendo e, in fondo, ha scelto anche per noi. Che abbiamo rotto ogni legame con chi non ha saputo rispettare la nostra storia. Ma che restiamo e resteremo legati a quella maglia come lo resteranno Francesco e Daniele. Perché questo, a loro e a noi, non ce lo può togliere nessuno.