Ciò che paventavamo, inascoltati, si è tragicamente verificato ieri, con l’infausto annuncio che anche stavolta, come già a dicembre, la Ue non aprirà alcuna procedura d’infrazione contro l’Italia. E subito il nostro pensiero corre, affettuoso e solidale, ai Cavalieri dell’Apocalisse che già ci avevano fatto la bocca, confondendo le loro speranze con la realtà. Sappiano che siamo con loro e li scongiuriamo di astenersi da gesti estremi di autolesionismo: hanno ancora molto da dare al mondo del giornalismo fantasy. A novembre era stato il leggendario Federico Fubini del Corriere, idolo assoluto, a dare per certa la crocefissione del governo giallo-verde in sala mensa: “Deficit, pronta la procedura Ue”, con tanto di data (“il 21 novembre”: mancava soltanto l’ora esatta). Poi purtroppo sappiamo come andò: quel burattino di Conte volò a Bruxelles e quei mollaccioni di Moscovici e Juncker si fecero intortare, senza neppure chiedere il permesso a Fubini.
Questa volta, per non farsi anticipare dal Corriere, era stata Repubblica a bruciare la concorrenza. Il 4 maggio Alberto D’Argenio, che è un po’ il Fubini di largo Fochetti, sparava: “Europa, pronta la stangata”. E il 5 giugno: “E dall’Europa arriva la bufera”. Un plagio del celebre motivo di Renato Rascel del 1939 contro l’imminente guerra mondiale (“È arrivata la bufera, è arrivato il temporale, chi sta bene e chi sta male, e chi sta come gli par”). Ma molto più tragico: “Ecco il documento che inchioda il governo: tutto da rifare sui conti… Un bagno di realtà dopo mesi di propaganda… C’è l’avvio dell’iter della procedura per debito a carico dell’Italia, una gabbia per evitare che Salvini e Di Maio mettano ulteriormente a rischio il Paese e l’area euro” (massì, abbondiamo: adbondandis adbondandum!), “L’Italia è fuori da tutti i parametri Ue coperti dal rapporto che porterà all’apertura della procedura sui conti del 2018” (cioè i frutti delle politiche del governo Gentiloni, ma questo Repubblica si scordava di precisarlo, anzi diceva che “non è vero”, anche se il primo bilancio giallo-verde risale al Natale 2018). La sentenza – condanna a morte per fucilazione – era scontata: “La Commissione oggi raccomanderà l’apertura della procedura, poi spetterà alle capitali confermarla”. Nella speranza che i mitici “sherpa dei governi” dessero un bel “via libera secco”, anziché “negoziare con Roma”, nota ladrona. Ma una cosa era già certa: “Non bastano le promesse di Tria di ricavare risparmi dal reddito di cittadinanza e quota 100 sul 2019 e di trovare (generiche) misure alternative all’aumento dell’Iva. L’Europa vuole i fatti”.
Invece ieri, guarda un po’, s’è fatta bastare le promesse di Tria sui risparmi da reddito e quota 100 e le (gene riche) misure alternative all’aumento dell’Iva; e così i mercati, con lo spread sotto quota 200, punto più basso dal 2017. Ma non precorriamo. La Repubblica della Procedura proseguì con amorevoli consigli all’Ue sulla linea dura, un po’ come i secondi che aizzano i pugili da bordo ring: “Debito e Pil, Italia ko. E adesso Bruxelles ci può commissariare”, “Capolinea Italia”, “Peggio della Grecia”, “Da Bruxelles niente sconti”, “La Ue non si fida dell’Italia: ‘Subito misure antideficit’. L’Eurogruppo freddo con Roma, parte in salita il negoziato”, “La furbata da un miliardo”, “Procedura d’infrazione più vicina”. Memorabile l’analisi di Andrea Bonanni il 23 giugno sulla “sceneggiata del governo” accolta da Bruxelles con “occhi esterrefatti” e “solide ragioni” per punire l’Italia: sai le risate sull’“attivismo frenetico di Conte che non ha prodotto un solo elemento utile a scongiurare questa minaccia”. Il premier-marionetta aveva inviato una lettera alla Ue, ma “la Commissione e gli altri Stati membri non si sono neppure degnati di rispondere” a quel “gesto gratuito, irrilevante, probabilmente controproducente”. Ben altro ci voleva: subito una “manovra correttiva nel 2019”, subitissimo “il bilancio che intende approvare nel 2020”. Invece niente, solo le “spacconate” di Conte e la “frenetica ‘ammuina’ ad uso e consumo del dibattito interno” che autorizzava un sospetto: “che Conte non abbia la minima intenzione di evitare la procedura d’infrazione” in vista della “campagna elettorale anticipata” che “offrirebbe a Lega e M5S la possibilità di scaricare sull’Europa la responsabilità della loro inettitudine e dei loro fallimenti”. Poi Repubblica annunciò che Conte, disperato, implorava un “rinvio a ottobre”. Poi che la procedura era “rimandata a ottobre”. Poi che Conte “non vuole il rinvio a ottobre”.
Solo il Giornale di Sallusti riusciva a eguagliare cotanta furia: “Governo accattone”, “Conti a picco. Qui naufraghiamo noi”, “Economia a rotoli. Governo fallito”, “Il governo finisce qui”, ”Ultimi in tutto. L’Italia affonda”, “La ritirata. Governo in fuga”, “Qui crolla tutto”, “Non c’è più un euro”. Così come la sua versione satirica, Il Foglio: “Procedura d’infezione”, “Zero nel mondo, zero in Europa”, “Stiamo già uscendo dall’euro”, “Occhio: l’Italia è il maiale d’Europa”, Titoli spiazzanti persino per Feltri, che su Libero rispondeva come poteva: “Conte tirerà le cuoia”, “Il governo chiede l’elemosina”, “Conte pronto a ricevere schiaffi”. Più staccati, e trafelati, Il Messaggero (“Spread peggio della Grecia”, “Ora la Grecia è più vicina”) e La Stampa (“L’Europa boccia l’Italia, procedura l’infrazione più vicina”). Scavalcato in catastrofismo, Fubini sul Corriere faticava a tenere il passo: “Il livello record del debito, come ai tempi di guerra”, “Il deficit rischia di crescere fino al 5% nel 2021”.
Ieri, la ferale notizia: non se ne fa nulla manco stavolta. Nelle migliori redazioni fioccano i primi suicidi. È rinviata la bufera, è rinviato il temporale, chi sta bene, chi sta male e chi piange per lo spread.