Dire cazzaro verde a Salvini è consentito. E accusare di voler dire, o fare, una “supercazzola” a un politico, anche. Il gip di Milano, Luigi Gargiulo, ha rigettato la querela che Matteo Salvini ha opposto al Fatto e al suo direttore, Marco Travaglio, ritenendo diffamatorio il titolo di un editoriale, “Il cazzaro verde”, appunto, e la paternità di una “supercazzola” riferita all’intenzione di creare un governo di scopo.
Il giudice, avvalendosi di un’ampia giurisprudenza, ha motivato la decisione riconoscendo il carattere di satira basata su iperboli e coloriture anche aspre del linguaggio, “modalità espressive funzionali e proporzionate all’opinione” espressa e dunque non punibili. Del resto, precisa il giudice, i fatti oggetto dell’articolo “non sono stati mai negati dal querelante” che ha anche ammesso che nella vita politica la critica, soprattutto se proviene da un “giornalista di avversa linea ideologica”, può “assumere toni aspri di disapprovazione”.
Gli articoli di satira, se rispettano il criterio della continenza, si basano su un linguaggio “essenzialmente simbolico e paradossale” fermo restando “il limite del rispetto dei valori fondamentali”, limite che non è stato superato.
La sentenza ricorda anche “il complessivo contesto dialettico”, cioè il linguaggio della politica “contrassegnato da espressioni forti, aspre, pungenti ed anche suggestive”. Si ricordano le frasi di Luigi Di Maio sull’ipotesi di un Tav ridimensionato: “Parliamo di una supercazzola”. Oppure lo stesso Salvini: “Il piano B del governo per affrontare l’emergenza immigrazione mi sa tanto di supercazzola”. Ma è lo stesso Salvini a ricordare che “cazzaro”, nel linguaggio giovanile, “indica un millantatore di presunte capacità, virtù e successi, di fatto un fanfarone”. Esattamente il profilo che si proponeva di tracciare l’articolo.