Lo abbiamo chiamato Sherlock (nel senso di Holmes) perché, come il personaggio di Arthur Conan Doyle, nelle sue indagini cerca di non trascurare nessun particolare. Capita al miglior giornalismo d’inchiesta di dare per scontato ciò che non lo è per il lettore. Ma il nostro Sherlock – il nostro nuovo gruppo di lavoro che produrrà grandi racconti sul Fatto Quotidiano, per arricchire periodicamente quelle che ogni giorno già leggete da dieci anni – starà bene attento a ricostruire la storia, le storie nascoste, direttamente con gli occhi (e le gambe) dei suoi inviati sul campo.
Per esempio: Pompei. Chi non conosce il sito archeologico, patrimonio dell’umanità tra i più affascinanti e visitati al mondo? Ma quando la nostra vicedirettrice Maddalena Oliva e i nostri inviati Enrico Fierro e Ferruccio Sansa, con Vincenzo Iurillo, hanno cominciato il loro lavoro di scavo (è proprio il caso di dirlo) – primo, per verificare e documentare meglio fin nei minimi particolari ciò che si sa e, secondo, per cercare e documentare ciò che non si sa – hanno scoperto ciò che leggerete domani sul nostro giornale. Perché il sottosuolo di Pompei conserva, insieme all’arcano di un mondo spazzato via in un attimo secoli fa, qualcosa di devastante che non sarà facile disinnescare. Ma poiché Sherlock torna sempre sul luogo del delitto, come del resto fa ogni assassino (e dunque ogni investigatore) che si rispetti, il dossier di domenica sarà la pietra angolare, la prima puntata, di un’indagine su Pompei che proseguirà giorno dopo giorno, affidata alla nostra squadra e alle nostre firme più autorevoli, a cominciare da Tomaso Montanari.
Questo è lo stile di Sherlock: raccontare, approfondire, insistere senza mollare mai la presa. E la preda. Abbiamo in cantiere molte altre storie nascoste. Che leggerete quando saremo sicuri di non aver tralasciato nulla. Sherlock lavora così.