Mentre Salvini, Savoini e i leghisti tutti sono in piena sindrome da accerchiamento, temendo – e ne hanno di che – cimici, trojan, spie, pedinamenti, complotti, congiure, trappoloni, vendette internazionali e indagini nazionali per la loro disinvolta politica estera da bar, anzi da piano bar (“Oggi qui, domani là”), e i loro ancor più disinvolti sistemi di autofinanziamento, dovrebbero arrendersi a un dato di fatto: oggi per incastrare un politico non c’è più bisogno di intercettarlo, basta intervistarlo. O seguire una sua diretta Facebook. O consultare i suoi social. La politica ha sempre avuto un lato oscuro, affidato a segretissimi mediatori, faccendieri, facilitatori che agivano nell’ombra e di cui nessuno ha mai conosciuto l’identità, né tantomeno le attività. Si sapeva solo che c’erano, e agivano. Pensiamo soltanto alla zona grigia delle missioni segrete fra Est e Ovest durante la guerra fredda, o fra israeliani e arabi. Ogni tanto qualcuno finiva nelle maglie della giustizia, grazie a intercettazioni o soffiate altrui, e tutti fingevano di non conoscerlo: mentivano, certo, ma senza tema di smentita. Ora mentire senza tema di smentita è quasi impossibile. E non solo per le intercettazioni, che sono sempre esistite fin da quando esiste il telefono. Ma per una gravissima patologia che affligge i politici del XXI secolo: la socialite. Qualunque cosa facciano (o addirittura non facciano), si affrettano a postare un selfie, a lanciare un tweet, a pontificare su Fb, a farci una storia su Instagram. Poi si dimenticano di quel che han detto o fatto, e dicono o fanno il contrario. Sempre in diretta social. Anche perché, quando si mente sempre, tenere il conto delle bugie e coordinarle nel tempo è pressoché impossibile.
Naturalmente gli agenti segreti esistono anche oggi, ma sui social non li trovate: ecco perché dipingere Gianluca Savoini come un tenebroso agente segreto del putinismo in Italia fa ridere. È uno dei tanti vicecazzari che circondano il Cazzaro Verde. Talmente agente e talmente segreto da postare i suoi autoscatti in ogni missione estera al seguito del capo, sempre al suo fianco nei tavoli ufficiali: da Mosca (nove volte in quattro anni) a Parigi, dal Marocco al Donbass, da Londra alla Crimea, da Arcore all’ultima cena romana con Putin. Nessuna persona sana di mente può credere che una grande impresa italiana in affari con la Russia passasse attraverso di lui per accreditarsi. Il che non sminuisce minimamente l’entità dello scandalo che sta travolgendo la Lega, anzi se possibile l’aggrava.
Perché ricorda le condotte disinvolte, anche se non nelle hall degli hotel ma nelle alcove di ville e dacie, del penultimo leader del centrodestra: Silvio B. Disinvolte non per quel che faceva sotto le lenzuola, ma per la presenza di decine di testimoni oculari del tutto incontrollabili (le “olgettine”), in grado di passare informazioni a chiunque, teoricamente anche a servizi italiani ed esteri, rendendo ricattabile l’allora premier. L’attuale vicepremier s’è cacciato e ci ha cacciati nella stessa condizione, circondato com’è di faccendieri malaccorti che vanno a zonzo a parlare di soldi alla Lega: prima Arata, socio di un affarista arrestato per i suoi finanziamenti a Messina Denaro, e ora Savoini, indagato per corruzione internazionale. Quando a febbraio l’Espresso svelò quel colloquio all’hotel Metropol di Mosca a base di petrolio e milioni di dollari, il “Savo” negò di avervi mai partecipato: ora l’audio recapitato da manine anonime alla redazione di Buzzfeed l’ha puntualmente smentito. Costringendolo ad ammettere che c’era, ma “non mi riconosco nelle mie parole” (un capolavoro). Anche Salvini prova a fare il furbo, con le solite battutone su rubli, tesori, vodka e missili nucleari. Poi, a domanda del nostro Manolo Lanaro, entra nel dettaglio, com’è suo dovere, ma purtroppo racconta frottole: “Savoini non era invitato dal ministero dell’Interno” né a Mosca nell’ottobre 2018 (“Che ne so cosa ci facesse al tavolo! Chiedetelo a lui. Non mi è dato sapere cosa facciano a nome loro gli altri la sera”) né a Villa Madama alla cena di gala per Putin il 4 luglio. Insomma, un imbucato. E chi l’avrà mai invitato? Conte? Di Maio? Putin? Boh.
Purtroppo, in un’intervista del 2014 alla rivista russa International Affairs, a proposito di un’altra missione salviniana a Mosca per solidarizzare con la Russia contro le sanzioni occidentali, Salvini dichiarò: “La visita ha avuto più successo di quanto potessimo aspettarci. Il nostro lavoro è stato quello di rafforzare i contatti costruiti nei mesi scorsi dai miei rappresentanti ufficiali Gianluca Savoini e Claudio D’Amico (ex parlamentare della Lega e suo socio, ndr)”.
Così Savoini è stato sempre considerato anche dal governo russo, visto che Sputnik News – house organ putiniano in Occidente – lo definiva “responsabile dei rapporti con la Russia per la Lega Nord”. Il 17 luglio scorso, di ritorno da Mosca con Salvini già vicepremier e ministro dell’Interno, Savoini twittava: “È stato per me un enorme piacere poter accompagnare il Ministro Matteo Salvini nel corso della sua visita ufficiale a Mosca”. E subito dopo dichiarava al Foglio: “Sono nella Lega dal 1991, coordino gli incontri di Salvini con gli ambienti russi. Non è che adesso sia cambiata la situazione. Non vedo quale sia il problema, seguo Matteo da sempre… Chi critica la mia presenza, legittimata dal ministero dell’Interno, è rimasto fuori dalla storia e ha evidentemente nostalgia della guerra fredda. Io ho contribuito con i miei contatti, come ho sempre fatto. Non con i pescivendoli dei magazzini, naturalmente, visto che da sempre ho contatti istituzionali”. Due dichiarazioni recenti e convergenti che fanno di Savoini non un millantatore imbucato che “parla a nome suo”, ma appunto un “rappresentante ufficiale” (del vicepremier). E fanno di Salvini un bugiardo. Del resto, Salvini giura a Repubblica che “Savoini non ha mai fatto parte delle delegazioni ufficiali in missione a Mosca con il ministro né a quella del 16 luglio 2018 né a quella del 17 e 18 ottobre dello stesso anno”. Ma Savoini, il 17 luglio 2018, dichiarava sempre a Repubblica: “Ho sempre fatto parte delle delegazioni in Russia di Matteo Salvini sin da quando veniva in visita nella Federazione come segretario della Lega. Visite che ho contribuito a organizzare”.
E’ stato per me un enorme piacere poter accompagnare il Ministro Matteo Salvini @matteosalvinimi nel corso della sua visita ufficiale a Mosca @mfa_russia . Proprio nel giorno in cui a Helsinky Putin @PutinRF_Eng e Trump @realDonaldTrump confermavano la nostra linea di dialogo./ pic.twitter.com/HFKVhbXhFr
— Savoini Gianluca (@SavoiniGianluca) 17 luglio 2018
C’è però un punto su cui Salvini potrebbe dire la verità. È quando dichiara: “Che fa Savoini nella Lega? Chiedetelo a lui”. Ma se davvero Salvini non avesse il controllo di Savoini, questa non sarebbe un’esimente, bensì un’aggravante: significherebbe che, una volta investito pubblicamente dei galloni di “rappresentante ufficiale” di Salvini, Savoini se ne andava in giro per il mondo a chieder soldi per la Lega insieme ad altri misteriosi faccendieri (il “Luca” e il “Francesco” ancora da identificare con certezza). E a promettere in cambio al governo russo chissà che cosa, a nome di uno dei due partiti del governo italiano.
Ora che la frittata è fatta, se non vuole che questo scandalo metta fine anzitempo alla sua carriera politica, Salvini non ha altra strada che espellere Savoini dalla Lega (se può permettersi di farlo); sciogliere la sua associazione Lombardia-Russia; raccontare tutto ciò che sa della missione di metà ottobre a Mosca (inclusi i suoi incontri nel pomeriggio o sera del giorno 17, tuttora ignoti); farsi rivelare dal “Savo” i cognomi di Luca e Francesco e comunicarli ai pm di Milano e ai cittadini, prima che saltino fuori per altre vie; scusarsi per le balle raccontate e per l’incredibile leggerezza con cui ha condotto i suoi rapporti con Mosca e poi con Washington; garantire al Parlamento, al premier Conte e ai partner di governo che i russi non hanno altre armi di ricatto da usare contro la Lega e dunque contro l’Italia; prendersi una lunga vacanza dai social; smetterla con le frottole e gli attacchi alla stampa; chiudersi nel suo ufficio al Viminale e fare ciò per cui è pagato, cioè il ministro dell’Interno.