Guai a usare il trojan se di mezzo ci sono i parlamentari. La giunta per le autorizzazioni della Camera dice no ai magistrati di Milano: non potranno utilizzare le conversazioni captate tramite spyware che riguardano il deputato forzista Diego Sozzani, reso celebre dall’intercettazione in cui si lamentava con un suo sodale di essere costretto a “mettersi in ginocchio per tre lire” per riuscire a raccattare fondi per la campagna elettorale di marzo 2018. Sozzani è accusato di finanziamento illecito dei partiti (reato per il quale ne è stato richiesto l’arresto), ma risulta pure indagato per corruzione, traffico di influenze e turbata libertà degli incanti. In concorso con altri, coinvolti nella maxi inchiesta dell’Antimafia di Milano denominata “Mensa dei poveri” che lo scorso maggio ha fatto tremare i polsi alla politica della regione Lombardia fino a lambire persino gli uffici del governatore Attilio Fontana.
Ma il clamore per questa nuova Tangentopoli sembra acqua ormai passata e Sozzani può dormire sonni tranquilli: per lui è scattato lo scudo di Montecitorio. A votare “no” all’uso delle intercettazioni richiesto dal tribunale di Milano sono stati Forza Italia, Lega e pure il Pd. Che in particolare ha messo nel mirino il trojan, che metterebbe a rischio la tenuta costituzionale del sistema delle guarentigie che proteggono gli onorevoli. Isolati i 5 Stelle che invece hanno votato sì. “Il quadro accusatorio che emerge dall’inchiesta è di una gravità assoluta. E la richiesta dei giudici, al netto del fatto che le tecnologie si evolvono anche rispetto agli strumenti investigativi, si presenta comunque in linea con la giurisprudenza della Corte di Cassazione e Costituzionale”, dice il deputato M5S Eugenio Saitta, che spiega le ragioni che hanno spinto il Movimento a votare per concedere l’autorizzazione, mantenendo salda la linea che “da sempre adottiamo in circostanze simili e distinguendoci ancora una volta da tutte le altre forze politiche che si sono espresse contro l’utilizzabilità delle intercettazioni”.
Una linea che però è risultata minoritaria: la Camera ha sbattuto la porta in faccia ai magistrati ponendo una seria ipoteca anche sulla richiesta di arresto che pende sempre sulla testa di Sozzani.
Ma cosa gli contestano gli inquirenti? Di aver percepito illegalmente un “contributo” elettorale di 10 mila euro da un imprenditore (Daniele D’Alfonso) con un finanziamento “finalizzato a far ottenere alla società di D’Alfonso agevolazioni nell’ottenimento di appalti in provincia di Novara”. Attraverso le conversazioni captate, scrive ancora il gip di Milano “si ottiene un riscontro agli indizi del sistema illecito di incarichi pilotati a favore della società Greenline srl, riconducibile al deputato, da parte delle società in house operanti in provincia di Varese eterodirette da Nino Caianiello”. Presunto “grande manovratore” di un sistema di “stecche” svelata dall’indagine che vede più di cento indagati, tra cui anche Lara Comi. Eppure per la Camera c’è il fumus persecutionis e le intercettazioni non potranno essere utilizzate.
E la richiesta di arresto? Di questo tornerà ad occuparsi la Giunta per le autorizzazioni la prossima settimana. Mentre ancora non è certo quando si pronuncerà l’Aula della Camera per il voto finale. “Mi auguro prima dell’estate anche perché sarebbe surreale che ci si esprimesse a settembre rispetto a una richiesta di misura cautelare”, chiosa il pentastellato Saitta.
Al netto del calendario, le speranze dei magistrati sono ridotte al lumicino, dato il “no” all’uso delle captazioni che era questione pregiudiziale. Un diniego che ha riguardato sia le intercettazioni classiche che quelle acquisite con lo spyware, nonostante fossero ritenute rilevanti non solo – come scrive il gip Raffaella Mascarino –per valutare la ricorrenza delle esigenze cautelari, ma anche per la prosecuzione delle indagini.