Il Mose, la più grande opera idraulica mai realizzata in Italia, non ha un piano di manutenzione. Incredibile, ma vero. Accade anche questo attorno alla greppia da 5,5 miliardi di euro dove si sono abbuffati politici e funzionari di Stato e imprese, prima che nel 2014 decine di persone finissero in manette. Il documento completo più recente risale al 1992 (l’anno di Tangentopoli) ed è legato a uno studio di massima, poco più dell’abbozzo di un’idea. Ma non è l’unica cosa che manca al Mose. Ad esempio, non sono mai stati fatti i collaudi delle gigantesche cerniere, corrose dalla ruggine prima ancora di entrare in funzione. I collaudatori non hanno sottoscritto che le opere fossero fatte a opera d’arte, proprio a causa delle prime manifestazioni del deterioramento delle parti che devono alzare le paratie per difendere la città di Venezia dall’acqua alta. Se non funzionano le cerniere, non funziona neanche il Mose. Il Fatto Quotidiano ha già raccontato dell’appalto da 34 milioni di euro appena bandito dai commissari del Consorzio Venezia Nuova per trovare aziende che si occupino di questa emergenza. Ma non si sapeva, finora, che i collaudi fossero stati interrotti già due/tre anni fa.
La conferma è contenuta in una lettera che Roberto Linetti, provveditore interregionale alle opere pubbliche del Nordest ha scritto al deputato Giuseppe L’Abbate (M5S), al Consorzio Venezia Nuova e al ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli. Risponde a una doppia richiesta di accesso agli atti che il parlamentare ha formulato dopo il clamore delle cerniere arrugginite: avere il piano di manutenzione allegato al Mose e l’elenco dei collaudatori. Linetti ha girato queste richieste al Consorzio. E poi ha risposto nella sostanza. Ecco la prima ammissione sconcertante: “Al progetto Mose nella sua interezza non era allegato alcun piano di manutenzione. Ciò è dovuto al fatto che si tratta di un progetto di dimensione ciclopica, sia in senso fisico che, soprattutto, in termini di complessità e varietà di componenti”.
Quindi 27 anni fa, prima che le aziende private – poi coinvolte nelle inchieste – prendessero in carico l’opera mangiasoldi, il problema era ben presente. Scrive Linetti: “Agli atti di questo Ufficio vi è un’approfondita relazione del 1992 sulla manutenzione. Si era nella fase del progetto di massima, prima che potesse formarsi una totale consapevolezza del sistema”. Archeologia industriale: il progetto definitivo è del 2002, mentre i cantieri partono nel 2003. Il provveditore aggiunge: “Il piano di manutenzione, oltre ad essere costituito da un numero elevato di specifici piani di manutenzione (cassoni, gallerie, singoli impianti, paratoie, fino alla qualità dell’acqua, agli organismi vegetali ed animali…), deve fare i conti con la condizione di opera sommersa in ambiente salino e alla sinergia degli elementi che compongono il sistema, affinché esso funzioni”.
Insomma, qualcosa si fa, ma il discorso della manutenzione è differito perché nessuno può sapere, e solo ora si comincia a sospettare, quanto le condizioni ambientali avrebbero alterato i meccanismi. Linetti scrive di “una popolazione oggetto di manutenzione che si compone di circa 70.000 unità, una popolazione cittadina di un apposito sistema di gestione che si sta implementando in questi mesi”. E poi ammette: “Le regole del gioco faranno parte del piano per l’avviamento del sistema Mose, in corso di redazione”. Quindi non è ancora pronto, a 16 anni dall’apertura dei cantieri.
Il provveditore Linetti affronta anche il problema della corrosione. La premessa è una novità: “Le cerniere delle paratoie delle quattro bocche di laguna non sono ancora state collaudate”. I gruppi di cerniere-connettori sono 156. È lì che è spuntata la ruggine. E lo si sapeva da tre anni. “Quando è emerso il problema della corrosione, già nel corso del 2016, a seguito dell’attività di alta sorveglianza svolta dal Provveditorato, le diverse commissioni di collaudo, tutte nominate in corso d’opera, hanno comunicato, con nota congiunta del 29 maggio 2018, di voler sospendere le operazioni fino a che non si fosse individuata una soluzione per ovviare alle ossidazioni e non fosse completo il sistema di climatizzazione degli ambienti ove sono collocate le strutture”. Per questo è partita ora la gara da 34 milioni di euro per le nuove cerniere? “Deve individuare una soluzione che consenta di garantire nel tempo i manufatti ed evitare, in una prospettiva più lunga, maggiori oneri a carico della finanza pubblica”.
In realtà, dai documenti del Mose emergono tanti singoli piani di manutenzione, ma manca il quadro d’insieme. Scrive l’Ordine degli ingegneri di Milano per le paratie di Malamocco: “Le opere di questa singola parte nell’ambito dell’intera durata dei lavori limitata a pochi anni non richiedono interventi di manutenzione… infatti il piano di manutenzione classico verrà portato all’approvazione del concedente dopo l’approvazione dell’ultima parte in cui l’intero lavoro è stato svolto”.
“È gravissimo. Sono anni che il piano di manutenzione fa parte degli elementi imprescindibili di un progetto e – commenta sconfortato l’onorevole L’Abbate – viste le tante varianti che ha subito il Mose, si sarebbe dovuto provvedere anche in corso d’opera. E, invece, non è stato mai richiesto. Come si fa a gestire la durabilità del Mose, come previsto dalle norme tecniche per le costruzioni del 2008? E come fa lo Stato, che dovrà accollarsi quest’opera mastodontica, a sapere quanto costerà mantenerla?”.