Il decreto per salvare l’ex Ilva di Taranto e le altre imprese in crisi c’è. O almeno ci sono le famose intese tra i vari ministeri coinvolti, inviate a Palazzo Chigi pochi giorni il consiglio dei Ministri che ha approvato – appunto “salvo intese” – il decreto Imprese. Per il Quirinale, però, non basta: serve, come spiegato ieri dal Sole 24 Ore, un passaggio formale in un ulteriore Cdm che cristallizzi il testo.
Sulla carta una pura formalità, ma nella realtà rischia di trasformarsi in un problema ben più grande: senza questo passaggio, a pagare la crisi sarebbero i lavoratori dello stabilimento tarantino e delle altre sedi gestite da ArcelorMittal. L’azienda, infatti, ha chiaramente avvertito il governo tempo addietro che senza immunità è pronta a lasciare Taranto. Ma non solo. In attesa della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del dl Imprese ci sono anche i rider e i lavoratori di Whirlpool e Blutec.
Intanto sulla questione immunità penale a Taranto, che il dl Imprese dovrebbe ripristinare in modo ridimensionato e vincolato al piano di risanamento ambientale dell’acciaieria di Taranto, si apre un nuovo pasticcio. Come svelato dal Nuovo Quotidiano di Puglia, in vista della discussione dinanzi alla Consulta del ricorso del gip Benedetto Ruberto sulla legittimità costituzionale dello scudo penale ai vertici della società, il governo ha chiesto tramite l’Avvocatura dello Stato il 14 maggio scorso, che i giudici delle leggi rimettano gli atti al gip di Taranto affinché si esprima sul decreto Crescita, il provvedimento che risale ad aprile scorso e che conteneva la cancellazione dell’immunità a partire dal prossimo mese di settembre.
Una richiesta che, tuttavia, oggi appare evidentemente superata proprio dal dl Imprese che ripristina invece il salvacondotto – seppur parziale – per l’azienda. Il prossimo 9 ottobre, la Corte costituzionale dovrà esprimersi sulla vicenda per stabilire se come sostiene il gip di Taranto “quelle norme che hanno autorizzato lo stabilimento a proseguire, nonostante le deficienze impiantistiche, ben oltre l’originario termine di 36 mesi” non abbiano clamorosamente violato i precetti costituzionali. Una decisione che arriverà tra due mesi quando la situazione sarà nuovamente mutata.