Tutti ad applaudire il Modello Milano (qualunque cosa voglia dire) e il sindaco Giuseppe Sala, presentato da una potente campagna di marketing politico come il genio della lampada del Terzo millennio, moderno Leonardo del Nuovo Rinascimento, efficiente borgomastro dell’unica città europea in Italia, nonché futuro presidente del Consiglio che sgominerà il populismo e riporterà al governo la sinistra riformista (qualunque cosa voglia dire). Ma se ripuliamo il make up con l’acqua micellare e rimaniamo attaccati ai duri, prosaici fatti, dobbiamo registrare che la grande operazione a cui Sala sta lavorando si chiama riqualificazione degli Scali Fs. È una partita immobiliare da 2,5 miliardi di euro che cambierà la faccia di Milano. È un vero furto ai cittadini milanesi. È un vero regalo agli operatori privati, Fs (che in questo affare si comportano da immobiliarista privato, attraverso Fs Sistemi urbani srl) e Coima (la società del nuovo Ligresti, Manfredi Catella).
Riassunto delle puntate precedenti. A Milano esistono sette vaste aree distribuite a corona attorno al centro, occupate dai binari e dai depositi della ferrovia. Un tempo erano ai margini della città, ma sono state inglobate dalla crescita urbana e sono diventate semicentrali (Farini, Romana, Porta Genova) o semiperiferiche (Lambrate, Rogoredo, Greco-Breda, San Cristoforo). Sommate, fanno 1 milione e 250 mila metri quadrati di superficie: un’area immensa. Oggi le Ferrovie dello Stato non ne hanno più bisogno per i treni e cercano di “valorizzarle”, che vuol dire riempirle di cemento e poi vendere case, alberghi, centri commerciali eccetera. Vecchio programma, più o meno lo stesso messo a punto a livello nazionale negli anni di Tangentopoli da quel vecchio volpone di Alberto Mario Zamorani, pluriarrestato di Mani pulite. Oggi però tutto è più bello, più verde, più ecologico, più sostenibile, più partecipato, più democratico. A parole.
I cittadini sono coinvolti in scintillanti presentazioni, illustrazioni, mostre, workshop, discussioni. Puro teatro. Intanto le decisioni sono prese nelle segrete stanze, escludendo perfino il consiglio comunale. Niente gare pubbliche. Molto marketing, rendering e masterplan, ma quello che sorgerà in concreto lo sanno solo in tre: Sala, Catella e qualcuno in Fs. Anzi: a Sala gli altri due ancora non lo hanno detto.
Gli scali ferroviari sono un “bene comune”: aree del demanio ferroviario e statale, furono espropriate e acquisite dallo Stato per motivi di pubblica utilità, cioè offrire il trasporto collettivo ai cittadini. Se ora al trasporto non servono più, andrebbero restituire allo Stato che dovrebbe provvedere a una loro nuova destinazione, come sta avvenendo per le aree di demanio militare e carcerario. Invece no: le Fs si trasformano in immobiliarista e pretendono di portare a casa almeno 500 milioni, ma forse anche il doppio, “valorizzando” le aree degli scali come fossero proprietà privata. E il Comune di Milano? E il genio della lampada Sala, così efficiente a fare il bene dei cittadini? Dice sì a un accordo di programma fatto su misura per le Fs, una specie di piano regolatore speciale, che concede un indice d’edificazione medio di 0,65 (allo scalo Farini anche più alto), contro lo 0,35 che vale per i comuni mortali nel resto della città. Un affare da 2,5 miliardi di euro porterà nelle casse del Comune soltanto 50 milioni. E – peggio ancora ¬ il Comune rinuncerà alla regia pubblica per decidere che cosa fare di quelle aree che potrebbero cambiare la faccia di Milano e farla diventare la città più verde d’Europa: a decidere che cosa costruire e dove, saranno invece le Fs e Manfredi Ligresti Catella.