Quella di oggi sarà la quindicesima notte europea dei ricercatori, con iniziative in oltre cento città italiane. Tra gli studiosi che parteciperanno, qualcuno vivrà la manifestazione per la quindicesima volta da precario: lo era nel 2005, quando l’evento ha fatto il suo esordio, e lo è ancora oggi. Negli enti pubblici di ricerca operano ancora più di mille precari storici, persone con un’anzianità tale da poter reclamare un posto fisso che però ancora aspettano.
In testa alla lista degli enti di ricerca, c’è il Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), il più grande del nostro Paese. In 857 sono rimasti fuori dalle stabilizzazioni, come riporta la UilRua. A maggio 2017 è stata approvata la legge Madia, voluta dall’ex ministra della Funzione pubblica: doveva avviare le assunzioni a tempo indeterminato per quelli con almeno tre anni di servizio, ma gli ingressi sono avvenuti a singhiozzo. L’anno scorso hanno firmato i primi 1.200, quelli con un rapporto da dipendente a tempo determinato e trasformati automaticamente in contratti permanenti. Più complesso è stato il cammino per gli assegnisti di ricerca, ricordano i “Precari uniti Cnr”. Per loro la norma imponeva un concorso riservato. Dopo le prove, l’ente ha iniziato a scorrere la graduatoria a gruppi di 104 ricercatori alla volta: la prima tranche a dicembre 2018, poi una a luglio e una in questi giorni. Ne restano fuori in 458, anche se il ministro Lorenzo Fioramonti vuole sbloccare un altro contingente, sempre da 104, entro dicembre. Resterebbero fuori altri 354, da sommare ai 187 esclusi dalle selezioni, 41 tecnici in attesa del concorso e 170 ricercatori rimasti a secco per cavilli legati alle norme.
Fioramonti ha messo il superamento del precariato nella ricerca tra gli obiettivi, ma dovrà vincere la difficile partita delle risorse. Anche il Crea, centro di ricerca agricola, ha bisogno di fondi. Prima della legge Madia i corridoi dell’istituto erano popolati da 600 precari. Poi sono stati stabilizzati in 407 “tempi determinati”. In 22 tra i loro colleghi sono stati esclusi, mentre un centinaio di assegnisti hanno partecipato al concorso a giugno, ma ancora non sanno se l’hanno passato. Da marzo, dopo l’arresto dei vertici, l’ente è commissariato e questo ha complicato le cose. Oggi il Coordinamento precari Crea consegnerà dei semi alla ministra dell’Agricoltura Teresa Bellanova, per chiedere di piantare alberi non solo per gli iscritti a Italia viva, il neo partito renziano, ma anche per ogni ricercatore stabilizzato.
All’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn) sono stati invece mesi duri. I vertici si sono opposti da subito alle stabilizzazioni automatiche, preferendo assumere solo con concorsi aperti. Poi, su spinta politica, sono arrivati i primi 170 contratti. Per gli assegnisti, una cinquantina, non è stato bandito alcun concorso. Altri 50 “tempi determinati” sono stati esclusi per una lettura restrittiva delle norme. Su questo Fioramonti vuole intervenire con una norma di interpretazione più inclusiva. A giugno è cambiato il presidente dell’ente e il Coordinamento precari Infn spera in una maggiore apertura. Tra l’altro, la commissione Cultura ha fatto sapere che, in mancanza di stabilizzazioni, fermerà i finanziamenti per l’Infn. Le condizioni per sbloccare le assunzioni ora ci sono.
All’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv) hanno stabilizzato 116 studiosi ma ora pure qui servono soldi per far entrare gli assegnisti. Sono una quarantina, da una prima ricognizione. L’ente non ha avviato i concorsi perché non sa di quante risorse dispone. Vanno messe le mani nel bilancio pubblico, insomma. Non solo per dare un futuro più sereno a quasi 1100 ricercatori precari “storici”, ma anche per presentarsi davanti ai partner europei con una quota di Pil investita in ricerca e sviluppo un po’ meno misera dell’attuale 1,35%.