Sul gruppo Facebook che porta il suo nome da qualche giorno è scattato il conto alla rovescia. C’è chi prepara torte con i suoi riccioli in pasta frolla e chi sogna di stirargli le camicie. “Un affetto che mi sconvolge, preferisco non pensarci perché è commovente”. Eppure lui, Niccolò Fabi, l’antidivo, per tornare ha usato proprio il suo corpo. Nel video di Io sono l’altro, il primo singolo di Tradizione e tradimento, in uscita oggi, si vede soltanto lui, t-shirt bianca e sguardo in camera. “Non doveva essere così: il mio corpo doveva servire da contenitore per alcune elaborazioni grafiche, ma ci siamo resi conto che non funzionava. E così abbiamo scelto: un’unica clip, senza tagli. Un mio enorme atto di coraggio dopo un altro fallimento”.
Fabi, come può parlare di fallimento, dopo aver lasciato un pubblico adorante, alla fine del tour per l’album Una somma di piccole cose?
È stato un percorso che ha attraversato varie fasi, compresa quella dell’undicesimo trasloco in 22 anni. Il cambiamento, il movimento sono la mia ossessione. E se da un punto di vista umano ha conseguenze complesse, da quello artistico rende tutto importante. Con quel disco avevo goduto della libertà di poter mostrare la mia attitudine artistica e avevo trovato nel pubblico stima e consenso. Una magia impossibile da ricreare, una consapevolezza potentissima, seguita da una domanda: e ora che faccio?
E che ha fatto?
Per un anno non ho preso in mano una chitarra: ho vissuto, sofferto, gioito. Poi, però, ho sentito che la mia vita si stava impantanando. Evidentemente la scrittura – ma ne avevo già un vago sospetto… – non è per me un’attività professionale e neanche artistica: è un’autoterapia. Ho bisogno di scrivere canzoni per mettermi in equilibrio, io che sono perennemente in disequilibrio.
Non ha il sacro fuoco dell’arte?
Professionalmente della musica non mi frega nulla – ovvio, è mia compagna nella vita quotidiana –, io non scrivo e non canto meglio di altri. Quello che rende i miei brani scottanti (Scotta è il secondo singolo tratto dall’album, ndr) è la mia ipersensibilità. Non è il linguaggio artistico che rende un po’ speciale ciò che scrivo, ma il suo significato. Solo che, dopo un disco così intimo e intimista, volevo alleggerire. Sono andato a Ibiza e, con la producer Costanza Francavilla, ho tentato di virare sull’elettronica, di fare una cosa insolita, di gusto, carina.
Ma credo non le sia piaciuta.
Ho rischiato di perdere la mia identità “sociale”, quella riconosciuta dagli altri, e di tornare a essere uno dei cinquemila che fanno quelle cose.
Quindi s’è redento?
Ho iniziato a uscire dall’impasse raccontando quello smarrimento (altro brano, I giorni dello smarrimento, ndr). Quando ho riascoltato la mia voce in quel pezzo, mi sono detto: “Ma di che cazzo stamo a parla’? Io qua devo andare a parare”. La mia vita, i miei occhi, la mia pelle sembrano fatti apposta per raccontare quella cosa lì. Allora ho accettato il fallimento.
Rieccoci, con il fallimento.
Tornare a raccontare alcune cose è stato il fallimento della speranza di poter essere altro, ma è anche la conferma di avere tra le mani un piccolo tesoro. Ho utilizzato il tradimento per valorizzare la tradizione con i miei compagni storici, Bob Angelini e Pier Cortese.
C’è un brano, Amori con le ali, in cui unisce arpeggiatore e chitarra acustica.
Un’ode al movimento. Se vogliamo creare un diagramma alle cui estremità ci sono la tradizione e il tradimento, quella canzone è la più a destra di tutte.
E la più a sinistra?
Quella che dà il nome all’album.
In questi giorni i firmacopie, poi riparte in tour nei teatri. Cosa si aspetta?
Ritrovo i teatri, la mia dimensione, e chiederò alle persone di fare un passo in più. La scaletta riserverà sorprese.
Tradirà il pubblico?
Chiederò la loro fiducia per togliere alcune ritualità e provare a sperimentare. Il mio dovere è tradire alcune certezze.