Dopo cinquant’anni, domandarsi “que reste-t-il de nos amours” come fanno Ettore Boffano, Salvatore Tropea e Mauro Vallinotto, alla fine del libro Torino ’69, dedicato all’Autunno caldo, è giusto. Perché quell’evento è parte integrante della nostra storia politica e sociale.
“Un secondo biennio rosso” lo definì l’allora segretario della Fiom, Bruno Trentin, paragonabile al 1919-1920 (un altro anniversario) in cui le fabbriche italiane furono messe sottosopra e le occupazioni si contavano a migliaia.
Nel 1969 non ci fu alcuna rivoluzione, anche se dal binomio 1968-69, nacquero sogni poderosi di trasformazione sociale, che poi verranno risucchiati e strozzati dalla spirale terroristica. Boffano e Tropea accompagnano un libro che è soprattutto di immagini, le foto in bianco e nero di Vallinotto e l’impronta di chi Torino la conosce bene si appiccica addosso dopo ogni riga. “Torino, Torino, che bella città: si mangia, si beve e bene si sta!”: la filastrocca dei bambini pugliesi prima di emigrare al Nord, “era la sintesi di tutte le speranze e di tutte le contraddizioni della grande immigrazione meridionale”.
Quegli immigrati, diventati improvvisamente e con orgoglio “classe operaia”, vivevano accompagnati da una “colonna sonora fatta del rumore delle macchine, del ritmo delle operazioni, possibilmente senza distrazioni”.
Venivano così disattese le promesse e si facevano largo le premesse di rivolta, con gli echi del “maggio francese”, le lotte degli studenti di palazzo Campana, fino alla giornata caotica, inaspettata e “afosa” del 3 luglio 1969, la manifestazione, e gli scontri di corso Traiano, con gli “operai-massa” che si mettono in mostra: “Cronisti e fotografi capirono subito che non sarebbe stato come le altre volte”. Dopo, infatti, sarà l’Autunno caldo.
Da Corso Traiano in poi è un fiume incontrollabile che segnerà lotte durissime nel corso degli anni 70 fino a quando la “marcia dei 40mila” nel 1980, ancora a Torino, chiude un ciclo. Il lungo Autunno caldo, nel frattempo, ha seminato un decennio di conquiste irripetibili, che il libro rievoca puntualmente: “Lo statuto dei lavoratori, il divorzio, i nidi pubblici, il divieto del licenziamento in gravidanza, l’obiezione di coscienza e il servizio civile, i consultori, la riforma penitenziaria, la legge Basaglia, il Servizio sanitario nazionale” e altro ancora. “Poi sarebbero arrivati i giorni feroci dei morti ammazzati, delle gambizzazioni e degli omicidi”. Ma questa, dicono Boffano, Tropea e Vallinotto, “è davvero un’altra storia”.
Di quella vicenda, dunque, per stare alla citazione di Trenet, “resta molto”. Una forza mai vista del movimento operaio, un “momento magico e irripetibile” della storia di Torino che, tra l’altro, nel 1975, permetterà la vittoria di Diego Novelli a Palazzo di Città. E resta un’immagine sopra tutte, a raffigurare lo scontro che si svolgeva allora, scattata il 29 ottobre al parco del Valentino. Da una parte l’Avvocato in doppiopetto scuro, la faccia padronale che lo rappresenta. Dall’altra, “seduto per terra, accanto alla spazzatura, un operaio addetto all’allestimento del Salone, che indossa una tuta blu: il “toni”, come si dice nel dialetto piemontese”. Due uomini, due destini che interpretano i simboli di un’epoca.