Ieri, oggi e domani. Tutto passa tranne Downton Abbey, perché dalla “home” dei Crawley nessuno vorrebbe mai uscire. E tanto hanno insistito i fan planetari della serie tv britannica da ottenere qualcosa di inconsueto se non straordinario: la creazione di un film che la portasse a conclusione. Almeno finché un sequel verrà caldeggiato, cosa molto probabile a giudicare dal successo al box office mondiale a oggi giunto a 136 milioni di dollari, di cui 84 in Usa e 28 in madrepatria, dove il film sta continuando a mietere consensi. L’Italia non farà eccezione, e la misura dell’attesa per l’uscita nelle sale — fissata per il 24 ottobre per Universal — è palpabile dalla folla presente ieri all’Auditorium capitolino dove Downton Abbey era in prima nazionale, con tanto di accompagnamento del regista Michael Engler, due produttori e soprattutto tre membri del cast, osannati come vere star: Jim Carter (l’inossidabile maggiordomo Mr Carson), Michelle Dockery (Lady Mary) e la guest star Imelda Staunton (Maud Bagshaw), che ha “accolto l’onore di esser fra gli eletti in the family anche solo per tre giorni, recitando con mio marito Jim (Carter, ndr)”.
Al di là della fascinazione mondiale sortita dall’effetto-Downton Abbey (il più divertente è il boom nel mondo di scuole per diventare “maggiordomi inglesi”), la “riduzione” a film della serie lunga sei stagioni non è opzione dell’ultima ora. “Pensiamo al grande schermo da anni, cioè dalla fine della terza stagione, e questo soprattutto per l’indiscutibile valore produttivo dell’opera televisiva, quasi unica per eccellenza di scenografie, costumi, look complessivo: una tale maestosità meritava di esser goduta sul big screen”, dicono i produttori Gareth Neame e Liz Trubridge, ma è pur vero che trovare il plot giusto per non deludere le aspettative non era impresa facile.
La bella notizia è che quel geniaccio di Julian Fellowes — creatore del concept e sceneggiatore della serie e del film, già premio Oscar per la sceneggiatura di Gosford Park — è riuscito a scrivere un testo capace di soddisfare le esigenze dei fan ma anche quelle dei profani, di quel popolo ignaro ma curioso degli intrighi fra i piani alti e quelli bassi di casa Crawley: il film è facilmente accessibile anche da chi non avesse mai visto una puntata delle sei stagioni di Downton Abbey. La trama, infatti, parte da “dove eravamo rimasti” in finale di stagione, e si sposta di una sola giornata, corrispondente al più inatteso degli eventi dai residenti della magione: la visita delle loro Maestà Re Giorgio V e Regina Maria, di passaggio nello Yorkshire. L’eccitazione è senza precedenti tanto per gli aristocratici che per la servitù, che già assapora l’emozione di “occuparsi” dei sovrani. Chiaramente non tutto andrà come previsto, con il protocollo monarchico a sovrastare i desiderata di ricchi & poveri, ma questo non farà altro che incoraggiare la forza caratteriale di questi personaggi, così ben scritti da rimanere impressi anche solo dalla visione del film senza l’esperienza seriale che — ricordiamolo — incornicia le gesta della famiglia Crawley dal 1912 al 1927, offrendo in un unico micromondo un esemplare affresco della classista società britannica, tra la fine del mondo di ieri e l’inizio di quello moderno.
E in coincidenza con l’ennesima giornata di caos in materia di Brexit, il programma della Festa del cinema di Roma regala un altro film dal Regno, piccolo ma curioso: Military Wives di Peter Cattaneo, il regista del cult The Full Monty. Al centro la vera storia delle mogli dei militari britannici in missione in Medioriente, abili a mitigare lo stress da “incerto ritorno” formando un coro. Perché una canzone ci salverà, almeno in apparenza.