“Mi chiamavano audacia. Se mi piaceva qualcuno ero capace di fargli la danza del ventre in piazza Navona. Loro ridevano e così li conquistavo”. Marcella Di Folco è stata tante cose. Ma è stata soprattutto la sua grande gioia di vivere, la sua risata fragorosa (inconfondibile), la sua anima a colori capace di invadere le stanze in cui entrava. E, scorrendo le pagine dell’ultimo libro di Bianca Berlinguer Storia di Marcella che fu Marcello, eccola Marcella – nata all’anagrafe come Marcello – prendersi tutto lo spazio. Lei, la sua infanzia, il rapporto con la madre, Federico Fellini e quel Satyricon girato per caso, l’operazione a Casablanca (nel 1980) “fra le braccia della mitica infermiera Batoulle”, il marciapiede, Bologna. E il Mit, le lotte politiche, sempre all’insegna della dignità e dei diritti da riconoscere a tutti: trans e non, indistintamente.
Come nasce questo libro, intimo e diretto nel racconto di una vita così straordinaria?
Le dicevo sempre: “Dobbiamo scrivere un libro insieme”. È il frutto delle confidenze e degli incontri negli ultimi suoi mesi di vita, quando tutte e due ormai sapevamo che, da lì a poco, sarebbe morta di tumore. La storia di Marcella è la storia di una donna eccezionale, con una vita tutta dedita – con determinazione ma anche tanta gioia – al perseguimento del suo obiettivo: diventare donna.
Come iniziò il vostro rapporto?
Ci siamo incontrate nel 1997, al Gay Pride di Venezia. Pioveva a dirotto, e lei avvicinandosi con un ombrellino mi disse: “Vuoi un po’ di riparo?”. Da quel momento iniziammo a frequentarci. Veniva spesso a casa nostra a Roma. Mia figlia Giulia aveva quattro anni quando la incontrò la prima volta e le chiese: “Ma tu sei maschio o femmina?”. Marcella scoppiò a ridere. A lasciare perplessa Giulia era la sua voce inconfondibilmente maschile.
Marcella Di Folco è stata la prima trans eletta al mondo in un Consiglio comunale. Attivista storica del movimento trans, anche grazie a lei arrivammo, nel 1982, a una delle leggi più avanzate per il riconoscimento dell’identità di genere e il cambio di sesso. Che Paese era quello?
Arretrato. E continua ad esserlo. Come diceva Marcella, le transessuali sono ultime tra gli ultimi. Per tutta la sua vita ha perseguito un fine fondamentale: l’autodeterminazione della propria identità sessuale. Oggi forse c’è più tolleranza, ma i problemi restano.
“Essere all’avanguardia significa essere libera”, diceva Marcella.
Lei lo era nel profondo, libera. È questo che le ha permesso di affrontare tutto: il dolore, gli ostacoli… arrivando alla fine a vincere la sua battaglia.
“La vagina non dà la felicità, ma almeno può darti la serenità”.
Voleva essere desiderata come donna. Non è un problema anatomico, ma di identità. Perché il tuo sentirsi donna, o uomo, prescinde dall’aver fatto un intervento chirurgico.
L’istanza delle persone transessuali mette in crisi, da una parte, il sistema binario dei generi, ma dall’altra, penso alle critiche di un certo femminismo, lo ripropone nel modo più classico: sei donna e per farti riconoscere come tale ti rappresenti secondo i canoni dominanti.
Una persona trans fa tutta quella fatica per cambiare sesso e io non mi sento assolutamente di rivolgerle alcuna critica. È un percorso dolorosissimo… E la complessità del transessualismo non può essere incasellata in un genere.
Dagli anni di Marcella a oggi, cosa è cambiato per le persone trans?
Grazie a una sentenza della Corte costituzionale, il cambio di identità sui documenti è possibile anche senza che vi sia stato un intervento chirurgico. Ma ancora siamo fermi a un certo stereotipo della persona transessuale. E non esiste una possibilità vera di inserimento lavorativo: l’alternativa resta ancora tra prostituzione e mondo dello spettacolo.
Con Vladimir Luxuria anche la politica è sembrata farsi carico, per una stagione, dei diritti delle persone trans.
La verità è che le battaglie delle minoranze è sempre difficile farle diventare battaglie di tutti. Vladimir è stata importante, lo diceva sempre Marcella, perché ha dato un’immagine diversa delle transessuali. La leader che aveva conosciuto personalmente e di cui mi parlava bene era Mara Carfagna: si era battuta, da ministro per le Pari opportunità, per introdurre l’aggravante della transfobia nella Legge Mancino contro l’incitamento all’odio. Non ci riuscì, ma almeno ci aveva provato.
Mentre la sinistra è sempre stata timida sul tema.
La battaglia per i diritti delle persone trans l’hanno combattuta prima di tutto i radicali. Come in tanti altri casi, sono stati loro a cominciare. I partiti della sinistra, poi, hanno seguito.
“L’equilibrio tra i diversi diritti è una delle condizioni più importanti per lo sviluppo di un Paese civile”, diceva Marcella.
Lei lo disse proprio durante l’incontro con Mara Carfagna. Ancora non comprendo come, secondo una certa destra, riconoscere più diritti e più libertà possa fare male alla società.
A proposito di diritti a rischio e di un certo dibattito pubblico, per molti è in atto un tentativo di riportare le donne indietro…
La cosa fondamentale, per non tornare indietro, è non farsi rinchiudere in casa. Lavorare e avere un ruolo sociale. Il nostro nemico, più ancora della politica reazionaria, è la crisi economica. Sono molte le donne che hanno dovuto rinunciare alla loro indipendenza. Ma certe battaglie dobbiamo comunque combatterle da sole. Quelle di noi che occupano posti di responsabilità sono ancora molto poche. Direttrici al Tg1 non se ne sono mai viste, come al Tg5.
Cosa le ha lasciato questa amicizia speciale?
Tre giorni prima di morire mi disse: “Io non rimpiango nulla, la mia vita è stata bellissima”. Ecco cosa mi ha lasciato: la sua gioia di vivere, anche le piccole cose. “Bianca, tesoroooo…”, mi sembra di sentirla ancora.
Marcella Di Folco è morta nel 2010. Perché aspettare nove anni per il libro?
Non volevo sovrapporre le mie idee e le mie inibizioni alla sua storia… Questo è il racconto di Marcella con le sue stesse parole. Lei era molto più libera di me e di noi tutte. Io non so se al suo posto ce la avrei fatta.